giovedì 2 marzo 2017
«Per noi quel piede inchiodato al suolo, intorno al quale facciamo perno, è la croce di Cristo», ha spiegato il Papa ai parroci della sua diocesi. E ha citato l'esempio del prete villero, padre Pepe
Papa ai parroci di Roma: «Gesù è il perno della nostra fede»
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A sorpresa papa Francesco prima di tenere la sua meditazione odierna ha scelto di confessare alcuni parroci e sacerdoti, rivoluzionando la “scaletta” dell’incontro di inizio Quaresima con i parroci di Roma, nel giovedì che segue il Mercoledì delle Ceneri, nella Basilica di San Giovanni in Laterano.

Ai sacerdoti della diocesi di Roma, il Papa ha offerto una meditazione (il testo integrale è pubblicato sul sito della Santa Sede) ricca di spunti e suggestioni, di cui ne riportiamo solo alcuni temi.

Papa Francesco ha fatto ricorso a un'immagine sportiva molto tecnica per far capire quanto debba essere salda la fede in Gesù: «Quando parlo di punti fermi o di fare perno, l'immagine che ho presente - ha confidato nella meditazione tenuta per il clero romano nella Basilica di San Giovanni in Laterano - è quella del giocatore di basket o pallacanestro, che inchioda il piede come "perno" a terra e compie movimenti per proteggere la palla, o per trovare uno spazio per passarla, o per prendere la rincorsa e andare a canestro».

Papa Francesco e il basket: «Gesù il perno della nostra fede»

«Per noi quel piede inchiodato al suolo, intorno al quale facciamo perno, è la croce di Cristo», ha spiegato il Papa ai sacerdoti della sua diocesi citando «una frase scritta sul muro della cappella della Casa di Esercizi di San Miguel, a Buenos Aires», che diceva: “Fissa sta la Croce, mentre il mondo gira”, che è il motto di san Bruno e dei Certosini.

Secondo Francesco, «la fede, il progresso e la crescita nella fede, si fonda sempre sulla Croce». Perché, ha ricordato con le parole di San Paolo ai corinzi, «è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione» di «Cristo crocifisso: scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani».

«Tenendo dunque, come dice la Lettera agli Ebrei, fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento, noi - ha scandito il Papa - ci muoviamo e ci esercitiamo nella memoria - ricordando la moltitudine di testimoni e corriamo con speranza «nella corsa che ci sta davanti», discernendo le tentazioni contro la fede, senza stancarci né perderci d'animo».

La sconfitta e il trionfo: «andare avanti senza darsi per vinti»

In seguito, il Papa si è soffermato sul senso di sconfitta, che trasforma – ha precisato – «in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura». Si tratta di «una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia» per questo «nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. Chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti», ha così spiegato papa Francesco al clero di Roma, citando il documento programmatico del suo Pontificato, l’Evangelii gaudium. Secondo Francesco, quindi, “anche se con la dolorosa consapevolezza delle proprie fragilità, bisogna andare avanti senza darsi per vinti, e ricordare quello che disse il Signore a san Paolo: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”».

Concentrando la sua meditazione sulla fede che deve operare per mezzo della carità e che deve essere sostenuta dalla speranza ed essere radicata nella fede della Chiesa, il Papa ha poi sottolineato che “il trionfo cristiano è sempre una Croce, ma una Croce che al tempo stesso è vessillo di vittoria, che si porta con una tenerezza combattiva contro gli assalti del male. Il cattivo spirito della sconfitta è fratello della tentazione di separare prima del tempo il grano dalla zizzania, prodotto di una sfiducia ansiosa ed egocentrica». «Ci sono circostanze – ha aggiunto – nelle quali siamo chiamati a essere persone-anfore per dare da bere agli altri. A volte l’anfora si trasforma in una pesante croce, ma è proprio sulla Croce dove, trafitto, il Signore si è consegnato a noi come fonte di acqua viva. Non lasciamoci rubare la speranza!».

Padre Pepe, il prete villero, esempio per la Chiesa

Padre Pepe, Josè Maria Di Paola, sacerdote villero (di periferia) minacciato di morte (sorte toccata lo scorso 5 ottobre al suo amico padre Juan Viroche) è stato proposto da papa Francesco come un esempio a cui tutti i parroci romani possono ispirarsi «per far vedere che quello che aiuta nella crescita della fede è tenere insieme il proprio peccato, il desiderio del bene degli altri, l’aiuto che riceviamo e quello che dobbiamo dare noi».

In particolare il Papa ha citato un aneddoto che riguardava «un giovane uomo che si stava recuperando nell’Hogar de Cristo di padre Pepe a Buenos Aires, che la mente gli giocava contro e gli diceva che non doveva stare lì, e che lui lottava contro quel sentimento. E diceva che padre Pepe lo aveva aiutato molto. Che un giorno gli aveva detto che non ce la faceva più, che sentiva molto la mancanza della sua famiglia, di sua moglie e dei due figli, e che se ne voleva poteva andare. Ma il prete gli disse: “E prima, quando andavi in giro a drogarti e a vendere droga, ti mancavano i tuoi? Pensavi a loro?”».

«Io – ha confidato quell'uomo a papa Francesco che ha riportato ai parroci di Roma le sue parole – feci segno di no con la testa, in silenzio, e il prete, senza dirmi nient’altro, mi diede una pacca sulla spalla e mi disse: “Vai, basta così. Come per dirmi: renditi conto di quello che ti succede e di quello che dici. ‘Ringrazia il cielo che adesso senti la mancanza”». «Quell’uomo – ha commentato il Papa – diceva che il prete era un grande. Che gli diceva le cose in faccia. E questo lo aiutava a combattere, perché era lui che doveva metterci la sua volontà».

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