lunedì 12 dicembre 2016
Sabato 17 dicembre papa Francesco compie 80 anni. Il segretario generale della Cei spiega i motivi per i quali gli dobbiamo gratitudine. E perché le sue riforme sono una responsabilità per tutti.
Il Riformatore che conta su tutti
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Fin dal primo saluto che ci ha rivolto la sera della sua elezione, in moltissimi abbiamo provato una profonda ammirazione per papa Francesco: un sentimento che in questi anni è cresciuto, così che dentro e fuori la Chiesa tanti si identificano in lui, apprezzandone lo stile e i propositi di rinnovamento. Il grande affetto che gli è rivolto è certamente un motivo di gioia per il Papa, che tuttavia in più occasioni ha mostrato di recepire con qualche preoccupazione questa commossa infatuazione per la sua persona, temendo che possa trasformarsi in modo più o meno consapevole in una delega, nell’attesa passiva che spetti semplicemente a lui il compito di cambiare le cose.
Al contrario, la stima per il Papa diventa autentica quando ci spinge a metterci in gioco senza demandare ad altri, cercando di attuare in noi stessi quello spirito di maggiore carità, autenticità e sobrietà che molti pretendono dalla Chiesa, senza essere disposti a viverlo per primi. Il cambio di passo cui Francesco ci esorta prevede infatti il coinvolgimento attivo di ogni membro della Chiesa, poiché il suo non consiste in un nuovo orientamento dottrinale né in una revisione del diritto canonico, o di prassi specifiche – tutte cose di competenza di esperti –, ma in un rinnovamento spirituale dell’intero popolo di Dio.

Il progetto del Concilio
La riforma che Francesco sogna e dispone per la Chiesa affonda le radici nella coscienza, che la teologia cattolica ha definito, nella sua parte più interna, come una scintilla: essa interpella e sollecita l’uomo tenendo desto in lui il senso di Dio e facendogli percepire la chiamata a compiere il bene. Animata dal soffio dello Spirito, la coscienza tenta costantemente di accendere in noi il fuoco dell’amore per Dio e per i fratelli, bruciando le resistenze dell’egoismo e del peccato. Il cuore indurito mette a tacere il suo appello; il cuore umile, invece, ne ascolta la voce e lascia il falso rifugio delle proprie sicurezze per mettersi in viaggio. Una volta acceso, infatti, l’amore impedisce di restare immobili e spinge a uscire, a incontrare, ad annunciare, a servire.
Ecco il cammino nel quale Francesco, rivolgendosi alle nostre coscienze, sospinge la Chiesa, perché faccia della misericordia il cardine attorno al quale ruotano le iniziative, i progetti pastorali, le strutture, le relazioni: tutto nella Chiesa sia rivisto alla luce della misericordia e del mandato missionario, che ne è la diretta conseguenza; tutto in essa divenga segno della solidarietà della Chiesa con il mondo, in modo che essa si senta interpellata da ogni realtà umana e si faccia prossima di ogni situazione di sofferenza. Per Francesco questo è il progetto del Concilio, che delinea una Chiesa vivificata dai sacramenti e dalla Parola, nella quale la comunione dei carismi vince le paure che spingono a rinchiudersi e a non incrociare fino in fondo le gioie, le speranze e le angosce del mondo.
Questa apertura al mondo arricchisce la Chiesa stessa, che attraverso il coinvolgimento nella storia scopre con maggior chiarezza il disegno di Dio e mediante il dialogo coglie aspetti nuovi della verità che annuncia. Non stanchiamoci dunque mai di dialogare, ma cerchiamo con tutti occasioni di vero confronto e collaborazione. La verità del Vangelo, infatti, non la si comprende meglio stando a tavolino ma sporcandosi le mani, con la determinazione di chi non si arrende al male o alla decadenza. E la carità non è quella di chi non scomoda nessuno, né vive di soli buoni sentimenti che rinchiudono in relazioni appaganti: la carità la si impara solo praticandola e compiendo gesti di solidarietà e condivisione.

Cosa insegna l'Anno Santo
È la via che il Papa ci ha indicato lungo l’Anno Santo della misericordia appena concluso, e che egli vuole idealmente continuare, perché la misericordia non rimanga un’esperienza fugace ma si imprima nel nostro modo di pensare e di agire. Con la recente lettera Misericordia et misera Francesco ci ha raccomandato di prolungare l’impegno delle opere di misericordia spirituale e corporale, che non sono mai ripetitive, ma sempre originali e nuove e ci impediscono di rifugiarci nelle idee senza abbracciare la realtà o di scambiare l’amore, che è sempre concreto, per un semplice sentimento. Esse tengano lontana da noi l’ottica dello scarto, con la quale cosi spesso nel nostro mondo si misurano e si gettano le persone, in base alla loro presunta utilità. Ci aiutino anche a riconoscere la nostra miseria, e che per primi abbiamo bisogno di compassione e di perdono. Questa, in fondo, è l’unica via per la riconciliazione e la pace.
Grati a Francesco per la meta alta e liberante che non si stanca di porci davanti, vogliamo fare ognuno la propria parte, piccola o grande che sia, nel rinnovamento della Chiesa e della comunità civile, lasciando che la scintilla divina che è stata accesa in noi non resti soffocata, ma produca il suo frutto.

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