mercoledì 22 marzo 2017
Francesco a Milano: attese e speranza «secondo» Colmegna, Mazzi, Panzeri, Rigoldi e Steffano. Fra parrocchie multietniche, centri di accoglienza e carceri dove fioriscono gesti di solidarietà
Casa della Carità: Messa di solidarietà con i Rom (Fotogramma)

Casa della Carità: Messa di solidarietà con i Rom (Fotogramma)

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Sabato 25 marzo arriva a Milano papa Francesco, il Pontefice che ha chiamato la Chiesa ad abitare le periferie geografiche ed esistenziali. Cosa pensano, cosa sperano, cosa chiedono i preti che abitano, amano, servono il popolo delle «periferie» ambrosiane? Ecco alcune voci.

Don Panzeri: a Monza carcerati solidali con i più bisognosi

La tappa più lunga della giornata milanese di papa Francesco sarà in un carcere: San Vittore, dove pranzerà e dove vuole incontrare tutti i detenuti. «Ma l’attesa è grande anche da noi. Ed è un’attesa che, per un’illuminazione dello Spirito, si è tradotta in gesto – racconta don Augusto Panzeri, cappellano della casa circondariale di Monza –. Un gruppo di detenuti ha avuto l’idea di preparare un pranzo per i più bisognosi. E faremo di tutto per realizzarlo. Come spiegano in una lettera, loro, che sono gli ultimi, si sono sentiti provocati da questo Papa e dal suo messaggio a fare qualcosa per gli altri, per chi è ultimo come loro e più di loro. Anche i detenuti di fede islamica sono interessati dalla sua visita – prosegue don Panzeri –. Li colpisce la sua semplicità, che fa cogliere la verità di quello che dice. Chi sta dietro le sbarre impara presto a capire se chi gli sta davanti è una persona autentica». Un gesto già vissuto, e di cui il sacerdote è stato testimone nella veste di direttore della Caritas di Monza, è stato il pranzo per un’ottantina di poveri organizzato dalla diocesi e dal Comune. «I loro pensieri li abbiamo raccolti e saranno consegnati al Papa – anticipa don Panzeri –. C’è un documento dei vescovi italiani – confessa – che mi ha segnato prima di ogni altro: Ripartire dagli ultimi, del 1981. Francesco, oggi, ci chiede la stessa cosa. E lo fa senza mettersi primo, senza retorica né protagonismo. Ci chiama – noi preti, innanzitutto – ad essere umili, veri, ultimi davvero, consapevoli del rischio di non essere capiti, magari proprio da quelli di casa tua. Come a volte succede anche a lui».

Don Steffano: le periferie, non slogan ma comunità vive

«Non basta parlare di periferia: bisogna abitarla! Dobbiamo vigilare perché le parole non diventino slogan», scandisce don Paolo Steffano, parroco di Sant’Arialdo, a Baranzate, alle porte di Milano, comunità multietnica come poche altre in diocesi. «Se sabato potessi incontrare il Papa di persona gli direi tre cose: "grazie", "attento" e "avanti". Anzitutto gli porterei il grazie della mia comunità. Poi gli direi: attento caro Papa, perché questo tempo chiede, ancor più, di essere semplici come colombe ma di agire con scaltrezza. È tempo di segni efficaci nella loro piccolezza, per dire la vicinanza della Chiesa alla gente: come ha fatto Francesco andando con semplicità in un negozio a comprarsi le scarpe. Infine gli direi: avanti! Il Papa è come il comandante di un transatlantico che a volte s’incaglia e che lui non può abbandonare. Spetta a noi – Chiesa in uscita – prendere le scialuppe, scendere in acqua, andare dove il transatlantico non può arrivare». Sabato mattina don Steffano sarà in Duomo all’incontro del Papa con i preti. «Alla Messa di Monza verranno 130 parrocchiani, a San Siro all’incontro con i cresimandi saremo in 40-45. Sono i volti di una comunità che ha saputo educare il suo pastore e vuole proseguire il cammino nella luce della Evangelii Gaudium. Non ci serve una Chiesa di prime donne ma di sherpa: gente che conosce la montagna, che sa faticare, portare il peso degli altri, aprirli all’incontro con la novità. Gente cui non importa nulla di piantare in vetta la propria bandierina».

Don Colmegna: con Francesco una città mite e ospitale

Anche don Virginio Colmegna, presidente di Casa della Carità, sarà in Duomo, sabato. «Alcuni dei nostri si sono iscritti alla Messa a Monza con le loro parrocchie, mentre i nostri anziani seguiranno la visita in diretta in auditorium. Giorno dopo giorno con le parole e i gesti, le encicliche, le omelie in Santa Marta, gli incontri – riflette don Colmegna – Francesco si chiama a cogliere la centralità dei poveri e degli ultimi perché il Vangelo sia annunciato a tutti. Questo messaggio mi riempie di gioia. Ma chiama – tutti – ad un’assunzione di responsabilità: come credenti e come cittadini. Sabato non andremo a osannare un mito, ma la guida di una Chiesa testimone della freschezza del Vangelo. Ora che arriva, sentiamo ancora più vicino e presente il cardinal Martini, che volle Casa della Carità come luogo per guardare alla città partendo dai più sprovveduti. Da Francesco arriva un messaggio di ospitalità. Milano non ha bisogno di muri ma di capire che la sfida della coesione sociale – pensiamo alle migrazioni – è decisiva. Il Papa della tenerezza e del Giubileo della Misericordia ci ricorda che abbiamo bisogno di una città mite, che superi la violenza che si annida nelle relazioni e nel linguaggio, contro ogni bullismo, fra i ragazzi come in politica». Infine: «Il Papa, andando a San Vittore, parla alla città che è fuori. Lancia un messaggio di riconciliazione e a quelli del "chiudiamoli dentro e buttiamo via la chiave" ricorda che dietro le sbarre ci sono vite, volti, dignità, sofferenze, speranze».

Don Mazzi: rispettiamo l'identità e il messaggio di Francesco

«I milanesi non facciano diventare milanese papa Francesco, ma lo accolgano rispettandone l’identità – lui, argentino, pastore con le scarpe sformate – e il messaggio – lui, il Papa povero di una Chiesa povera per i poveri, lui che viene dalle villas miserias di Buenos Aires – chiede don Antonio Mazzi, fondatore di Exodus –. Noi milanesi siamo l’organizzazione in persona. E l’organizzazione è necessaria per un evento come questo. Ma non deve impedirci di riconoscere e accogliere il suo vero messaggio. Un messaggio di povertà, libertà, fraternità, condivisione che sarà immediato cogliere negli incontri a San Vittore e alle Case Bianche di via Salomone, ma che dovremo saper vedere anche quando salirà sul palco della Messa da 1,3 milioni di euro, a Monza, davanti alla folla dei fedeli».

Don Rigoldi: cristiani, fate politica e occupatevi dei «penultimi»

«Milano è la città del volontariato. È giusto occuparsi degli ultimi: ma se dimentichiamo i "penultimi", gli ultimi non faranno che aumentare. Per questo non basta l’azione caritativa – afferma con forza don Gino Rigoldi, lo storico cappellano del carcere minorile Beccaria –: serve la politica. E la comunità cristiana, convincendosi una volta per tutte che non si può fuggire la politica perché "è una cosa sporca", deve riscoprirsi comunità e prendersi le sue responsabilità politiche, morali, sociali e educative. A questo ci chiama papa Francesco, parlando di ecologia, lavoro, finanza, commercio delle armi, a partire dal Vangelo. La comunità cristiana si impegni per il lavoro, per la casa, per una scuola inclusiva, per periferie inclusive. E si lasci provocare dalla visita del Papa a San Vittore. Il carcere è il luogo dei più poveri fra i poveri. Quando stai dietro le sbarre – dov’è tornato a crescere il sovraffollamento. E quando esci e ti trovi abbandonato a te stesso».


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