venerdì 21 novembre 2014
​Purtroppo i migranti vivono spesso situazioni di delusione, di sconforto e di solitudine e, aggiungerei, di emarginazione. In effetti, il lavoratore migrante si trova teso tra lo sradicamento e l’integrazione. E anche qui che la Chiesa cerca di essere luogo di speranza.
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Signori Cardinali, Cari fratelli vescovi e sacerdoti, cari fratelli e sorelle, 1. Vi accolgo con piacere alla conclusione di questo Congresso. Saluto il Presidente, il Cardinale Vegliò, e lo ringrazio per le sue cortesi parole di introduzione. Rivolgo un fraterno benvenuto ai Delegati delle altre Chiese e Comunità. A ciascuno desidero esprimere i miei sinceri sentimenti di apprezzamento e gratitudine per l’impegno e la sollecitudine verso uomini e donne che anche oggi intraprendono il “viaggio della speranza” sulle strade dell’emigrazione. Grazie per quello che fate. Assicuro la mia vicinanza spirituale a voi e a tutti coloro che cercate di aiutare. 2. Il Documento finale del vostro precedente Congresso, cinque anni fa, affermava che «l’emigrazione è ... un invito a immaginare un futuro diverso, che mira allo sviluppo di tutto il genere umano; include così ogni essere umano con il suo potenziale spirituale e culturale e il contributo ad un mondo più equo segnato da una solidarietà globale e dal pieno rispetto della dignità umana e della vita» (n. 3). Oggi, nonostante gli sviluppi avvenuti e le situazioni, a volte penose e persino drammatiche, che si sono registrate, l’emigrazione resta ancora un’aspirazione alla speranza. Soprattutto nelle aree depresse del pianeta, dove la mancanza di lavoro impedisce la realizzazione di un’esistenza dignitosa per i singoli e per le loro famiglie, è forte la spinta a ricercare un futuro migliore altrove, anche a rischio di delusioni e di insuccessi, provocati in gran parte dalla crisi economica che, in misura diversa, tocca tutti i Paesi del mondo. 3. Questo vostro Congresso ha messo a fuoco le dinamiche della cooperazione e dello sviluppo nella pastorale delle migrazioni. Avete analizzato anzitutto i fattori che causano le migrazioni, in particolare le disuguaglianze, la povertà, l’incremento demografico, il crescente bisogno di impiego in alcuni settori del mercato del lavoro, le calamità causate dai cambiamenti climatici, le guerre e le persecuzioni, il desiderio delle nuove generazioni di muoversi per cercare nuove opportunità. Inoltre, la connessione tra cooperazione e sviluppo evidenzia, da un lato, i differenti interessi degli Stati e dei migranti e, dall’altro, le opportunità che potrebbero derivarne per entrambi. In effetti, i Paesi che accolgono traggono vantaggi dall’impiego di immigrati per le necessità della produzione e del benessere nazionale, non di rado limitando anche i vuoti creati dalla crisi demografica. A loro volta, i Paesi dai quali partono i migranti registrano una certa attenuazione del problema della scarsità di impiego, e soprattutto traggono beneficio dalle rimesse, che vengono incontro alle necessità delle famiglie rimaste in patria. Gli emigrati, infine, possono realizzare il desiderio di un futuro migliore per sé stessi e per le proprie famiglie. Ai benefici menzionati si accompagnano, lo sappiamo, anche alcuni problemi. Si riscontrano nei Paesi di provenienza dei migranti, tra l’altro, l’impoverimento dovuto alla perdita delle “menti” migliori, la fragilità di bambini e ragazzi che crescono senza uno o entrambi i genitori, e il rischio di rottura dei matrimoni per le assenze prolungate. Nelle Nazioni che li accolgono, di riflesso, vediamo difficoltà d’inserimento in tessuti urbani già problematici, come pure difficoltà di integrazione e di rispetto delle convenzioni sociali e culturali che vi trovano. A questo riguardo, gli operatori pastorali svolgono un ruolo prezioso di invito al dialogo, all’accoglienza e alla legalità, di mediazione con le persone del luogo di arrivo. Nei Paesi d’origine, invece, la prossimità alle famiglie e ai giovani con genitori migranti può attenuare le ricadute negative della loro assenza. 4. Ma la vostra riflessione ha voluto spingersi oltre, per cogliere le implicazioni della sollecitudine pastorale della Chiesa nell’incontro tra cooperazione, sviluppo e migrazioni. Del resto, è qui che la Chiesa ha una parola forte da dire. La comunità cristiana, infatti, è continuamente impegnata ad accogliere i migranti e a condividere con loro i doni di Dio, in particolare il dono della fede. Essa promuove progetti nell’evangelizzazione e nell’accompagnamento dei migranti in tutto il loro viaggio, partendo dal Paese d’origine attraverso i Paesi di transito fino al Paese di accoglienza, con particolare attenzione a rispondere alle loro esigenze spirituali attraverso la catechesi, la liturgia e la celebrazione dei Sacramenti. 5. Purtroppo i migranti vivono spesso situazioni di delusione, di sconforto e di solitudine e, aggiungerei, di emarginazione. In effetti, il lavoratore migrante si trova teso tra lo sradicamento e l’integrazione. E anche qui che la Chiesa cerca di essere luogo di speranza: elabora programmi di formazione e di sensibilizzazione; alza la voce in difesa dei diritti dei migranti; offre assistenza, anche materiale, senza esclusioni, affinché ognuno sia trattato come figlio di Dio. Nell’incontro con i migranti, è importante adottare una prospettiva integrale, in grado di valorizzarne le potenzialità anziché vedervi solo un problema da affrontare e risolvere. L’autentico diritto allo sviluppo riguarda ogni uomo e tutti gli uomini, in visione integrale. Questo richiede che si stabiliscano per tutti livelli minimi di partecipazione alla vita della comunità umana. Tanto più è necessario che ciò si verifichi nella comunità cristiana, dove nessuno è straniero e, quindi, ognuno merita accoglienza e sostegno. 6. La Chiesa, oltre ad essere una comunità di fedeli che riconosce Gesù Cristo nel volto del prossimo, è madre senza confini e senza frontiere. È madre di tutti e si sforza di alimentare la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, dove nessuno è inutile, fuori posto o da scartare. Lo ricordavo nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato di quest’anno: «Non sono tanto i criteri di efficienza, di produttività, di ceto sociale, di appartenenza etnica o religiosa quelli che fondano la dignità della persona, ma l’essere creati a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26-27) e, ancora di più, l’essere figli di Dio; ogni essere umano è figlio di Dio! In lui è impressa l’immagine di Cristo!». Lui è Cristo. Perciò i migranti, con la loro stessa umanità, prima ancora che con i loro valori culturali, allargano il senso della fraternità umana. Nello stesso tempo, la loro presenza è un richiamo alla necessità di sradicare le ineguaglianze, le ingiustizie e le sopraffazioni. In tal modo, i migranti possono diventare partner nella costruzione di un’identità più ricca per le comunità che li ospitano, così come per le persone che li accolgono, stimolando lo sviluppo di società inclusive, creative e rispettose della dignità di tutti. Cari fratelli e sorelle, vi esprimo di nuovo la mia gratitudine per il servizio che rendete alla Chiesa, alle vostre comunità e alle società di cui fate parte. Invoco su di voi la protezione della Madre di Dio e di san Giuseppe, che hanno sperimentato la durezza dell’esilio in Egitto. Assicurandovi la mia preghiera, vi chiedo per favore di pregare per me, e di cuore vi benedico. Grazie.
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