giovedì 15 settembre 2022
La conferenza stampa di ritorno dal Kazakistan: per l'Ucraina occorre lasciare spazio al dialogo, mandare armi può essere moralmente accettato se non si fa per produrre e vendere. Difendersi è lecito
Papa Francesco nel volo di rientro dal Kazakistan

Papa Francesco nel volo di rientro dal Kazakistan - EPA/ALESSANDRO DI MEO / POOL

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Qui di seguito la trascrizione della conferenza stampa che papa Francesco ha tenuto nel coso del viaggio di rientro dal viaggio in Kazakistan.

Papa Francesco: Grazie per la vostra compagnia e lavoro. Due giorni intensi grazie tante e anche vorrei salutare Stefania Falasca che oggi è il suo compleanno, quanti sono, 37? Non sapevo se 36 o 37. Poi dobbiamo fare spegnere candeline, fare arrivare la torta!

Quale è il risultato della sua visita in Kazakistan? Cosa le ha ispirato?

Per me è stata una sorpresa. Non conoscevo nulla di questo paese dell’Asia centrale, tranne la musica di Borodin. Il Kazakistan è stata una sorpresa, non me l’aspettavo così. Sapevo che si è era sviluppato bene, con intelligenza, ma trovare dopo trent’anni dall’indipendenza uno sviluppo come questo in un Paese così grande non me lo aspettavo. Questo mi ha colpito: la voglia di andare avanti non solo nell’industria e nello sviluppo economico ma anche nello sviluppo culturale. Poi il Congresso, una cosa molto importante, è già alla settima edizione. Vuol dire che è un Paese lungimirante e che fa dialogare quelli che di solito sono scartati perché in una concezione progressista del mondo, la prima cosa che si scarta sono i valori religiosi. Invece un Paese che si affaccia al mondo con una proposta del genere è meraviglioso. Lei ne può essere orgogliosa.

Grazie per il suo messaggio di pace. Noi in Germania, che ottanta anni fa è stata responsabile di ottanta milioni di morti, impariamo a scuola a non usare mai le armi, mai la violenza. L’unica eccezione è l’autodifesa. Per lei, in questo momento, bisogna dare armi all’Ucraina?

Questa è una decisione politica che può essere moralmente accettata se si fa con intenzioni di moralità. Ma può non essere morale se si fa per incentivare la guerra, per produrre e vendere armi. La motivazione giustifica questo atto. Difendersi è atto di amore per la patria. Si dovrebbe però riflettere di più sul concetto di guerra giusta. Tutti parlano di pace oggi. Ma in questo momento quante sono le guerre in corso? In questo momento l’Ucraina e la Russia sono in guerra, anche l’Azerbaijan, l’Armenia si è fermata un po’, poi c’è la Siria, dieci anni di guerra, il Corno d’Africa, il Mozambico, l’Eritrea, l’Etiopia, il Myanmar, popolo sofferente che gira come uno zingaro, e altri Paesi, siamo in guerra mondiale. Ho un ricordo personale di quando ero bambino, avevo 9 anni, era il 1945. Si sentì suonare l’allarme a Buenos Aires, chiesi alla mamma cosa stesse succedendo. Una vicina viene a dirci che era suonato l’allarme perché era finita la guerra. Io corsi e vidi la mamma e la vicina piangere di gioia per la fine della guerra. Queste donne sapevano che la pace era più grande di tutte le guerre. Io mi domando se oggi siamo abbiamo il cuore educato per piangere di gioia quando vediamo la pace. Tutto è cambiato. Poi la produzione delle armi, questo è un affare assassino. Qualcuno mi diceva che se si smettesse per un anno di produrre armi si risolverebbe la fame nel mondo. A Genova anni fa è venuta una nave carica di armi, che doveva trasferire armi a una nave più grande diretta in Africa, in Sud Sudan. Gli operai del porto non hanno voluto farlo. È un aneddoto, ma fa sentire la coscienza della pace. Lei ha parlato della sua patria. Una delle cose che ho imparato da voi è la capacità di pentirsi e chiedere perdono per gli errori di guerra e anche pagare per gli errori della guerra. Il vostro è un esempio che si dovrebbe imitare. La guerra in se stessa è un errore.

Lei ha detto che «non possiamo mai giustificare la violenza», ma tutto quello che sta succedendo in Ucraina è pura violenza, morte e distruzione. In Polonia abbiamo la guerra alle porte, due milioni di profughi. Secondo lei c’è una linea oltre la quale non si potrà dire siamo aperti al dialogo con Mosca, perché tanti hanno delle difficoltà a capire questa disponibilità con Mosca…

Credo sia sempre difficile capire il dialogo con gli Stati che hanno cominciato la guerra. È difficile ma non dobbiamo scartarlo, dare l’opportunità di dialogo a tutti, a tutti. Perché sempre c’è la possibilità che con il dialogo si possano cambiare le cose, anche offrire un altro punto di vista, un altro punto di considerazione. Non si deve escludere il dialogo con qualunque potenza che sia in guerra e che sia l’aggressore. A volte puzza, ma si deve fare. Sempre un passo avanti e mano tesa, sempre. Perché altrimenti chiudiamo l’unica porta ragionevole per la pace. A volte non accettano il dialogo. Peccato! Ma il dialogo va sempre fatto, almeno offerto e questo fa bene.

In questi giorni, nel Congresso, si è parlato della perdita dei valori e di etica in Occidente, del suo degrado morale… Cosa ne pensa? L’Occidente è minacciato nella sua perdita dei valori? Penso al dibattito sull’ eutanasia, il fine vita in Italia, in Francia, in Belgio…

È vero che l’ Occidente in questo momento non è al livello più alto di esemplarità. Non è un bambino di prima comunione, ha preso strade sbagliate. Pensiamo ad esempio all’ingiustizia sociale. Alcuni paesi derubati della giustizia. Penso al mio continente l’America latina, pensiamo al Mediterraneo che è il cimitero più grande dell’umanità. Cosa ha perso l’Occidente che non accoglie quando ha bisogno di gente? Quando si pensa all’inverno demografico che abbiamo, ci sono paesi vuoti, di soli anziani. Perché non fare una politica che inserisca i migranti? Integrare è importante. C’è la mancanza di capire questi valori da parte dell’Occidente che pure ha vissuto questa esperienza. L’immigrazione va considerata sul serio perché fa alzare il valore dell’Occidente. Al contrario con questo inverno demografico dove andiamo? L’Occidente è un po’ in decadenza in questo momento. Ma pensiamo a Adenauer, De Gasperi, Schumann… ci sono dei grandi ma non riescono a portare oggi avanti la società. L’Occidente ha bisogno di parlare, di rispettarsi. C’è poi il pericolo dei populismi, stiamo vedendo alcune cose, come nascono. Ho menzionato qualche volta quel libro di Ginzburg, Sindrome 1933, lì c’è come è nato il populismo in Germania dopo la caduta di Weimar. I populismi nascono così, nascono quando c’è un livello come oggi e qualcuno promette un messia. Noi occidentali non siamo nel più alto livello per aiutare altri popoli, dobbiamo riprendere i valori dei grandi padri che hanno fondato l’Unione Europea. L’eutanasia? Non è umano, punto. Se tu uccidi con motivazioni, sì, alla fine ucciderai di più. Uccidere lasciamolo alle bestie.

L’Italia si avvicina al voto, ci sarà presto un nuovo governo, cosa dirà quando incontrerà il prossimo presidente del Consiglio o la prossima presidentessa del Consiglio? Quali sono, secondo lei, le priorità per l’Italia, le sue preoccupazioni, gli errori da evitare?

Io ho conosciuto due presidenti italiani di altissimo livello, Napolitano e l’attuale, due grandi. Gli altri politici non li conosco. Nell’ultimo viaggio ho chiesto a uno dei miei segretari: quanti governi ha avuto l’Italia in questo secolo? Venti. Questo non so spiegarlo. Non condanno né critico, semplicemente non so spiegarlo. Se i governi si cambiano così ci sono però tante domande da fare. Oggi fare il politico è una strada difficile. Un vero politico è quello che si gioca per i valori della patria, per i grandi valori, non si gioca per la poltrona. I Paesi, tra questi l’Italia, devono cercare i grandi politici, che abbiano capacità di fare politica, perché la politica è un’arte, è nobile la politica. Credo che uno dei miei predecessori diceva che la politica è una delle forme più alte della carità. Dobbiamo aiutare i nostri politici a mantenere questo livello, il livello dell’alta politica, non la politica bassa che non aiuta niente e anzi tira giù lo Stato, l’impoverisce. Oggi la politica nei paesi europei dovrebbe prendere in mano il problema dell’inverno demografico, il problema dello sviluppo industriale, dello sviluppo naturale, del problema dei migranti. Deve affrontare questi problemi sul serio.

Al Congresso si è parlato anche di libertà religiosa. Il processo contro il cardinale cinese Zen, proprio in questi giorni, è una violazione della libertà religiosa?

Per capire la Cina ci vuole un secolo e noi non viviamo un secolo. La mentalità cinese è una mentalità ricca e quando si ammala un po’, anche la ricchezza è capace di fare sbagli. Per capire, noi abbiamo scelto la via del dialogo. C’è una commissione bilaterale vaticana-cinese che sta andando bene, lenta perché il ritmo cinese è lento, loro hanno un’eternità per andare avanti: è un popolo di una pazienza infinita. Ma pensiamo ai missionari italiani che sono andati lì e sono stati rispettati come scienziati, pensiamo anche oggi a tanti sacerdoti, gente credente che è stata chiamata dalle università cinesi perché questo da valore alla cultura. Non è facile capire la mentalità cinese, ma va rispettata. Io rispetto sempre. La commissione vaticana di dialogo con la Cina sta andando bene. La presiede il cardinale Parolin che è l’uomo che in questo momento più conosce la Cina e il processo di dialogo. Con lentezza, ma sempre si fanno passi avanti. Qualificare la Cina come antidemocratica io non me la sento, perché è un Paese complesso. Sì, è vero che ci sono cose che a noi possono sembrare non democratiche. Il cardinale Zen andrà a giudizio in questi giorni, credo. Lui dice quello che sente. Io cerco di appoggiare la via del dialogo, con il dialogo si chiariscono tante cose, e non solo della Chiesa ma anche di altri settori. Bisogna considerare l’estensione della Cina, i governatori delle provincie sono tutti diversi, ci sono culture diverse dentro la Cina. È un gigante. Capire la Cina è cosa gigante, ma non si deve perdere la pazienza e dobbiamo andare avanti col dialogo.

Ha visto il presidente Xi Jinping a Nur Sultan?

Lui aveva la visita di Stato lì, ma io non l’ho incontrato.

Nella dichiarazione finale, tutti i leader sottolineano un appello ai governi e alle organizzazioni internazionali affinché vengano protette le persone perseguitate a causa della loro etnia o religione. Purtroppo questo è quel che sta accadendo in Nicaragua. Sappiamo che lei ne ha parlato il 21 agosto durante l’Angelus. Ma forse può aggiungere qualcosa in più per il popolo cattolico soprattutto del Nicaragua. Vorremmo poi sapere se potrà riprendere il viaggio interrotto in Africa? E se prossimamente ha in programma altri viaggi.

Le notizie che giungono dal Paese non sono chiare. C’è dialogo e quando c’è vuol dire che c’è bisogno di risolvere problemi. E in questo momento ci sono dei problemi in Nicaragua. Almeno io mi aspetto che le suore di Madre Teresa di Calcutta tornino, perché queste donne sono rivoluzionarie ma del Vangelo e non fanno la guerra a nessuno. Tutti abbiamo bisogno di queste donne. È stato un gesto incomprensibile. Noi continuiamo con il dialogo, mai fermarlo, anche se ci sono cose che non si capiscono, perché anche mettere alla frontiera un nunzio è cosa grave diplomaticamente. Non è l’unico caso, in America Latina accadono cose del genere. Riguardo ai viaggi: è difficoltoso per me perché il ginocchio non è guarito, ma questo prossimo lo farò (allo studio a novembre in Bahrein, ndr), e ho parlato l’altro giorno via zoom con monsignor Welby. Abbiamo visto come possibilità febbraio prossimo per andare in Sud Sudan, e se vado in Sud Sudan vado in Congo: stiamo tentando perché dobbiamo andare tre insieme con monsignor Welby e il capo della Chiesa di Scozia.

I cattolici che vivono in Kazakhstan, vivono in un contesto a maggioranza musulmana. Come si può svolgere l’evangelizzazione in questo contesto? C’è qualcosa che l’ha ispirata incontrando questa comunità cattolica?

Sono rimasto felice oggi nella cattedrale vedere i cattolici così entusiasti, gioiosi, questa è l’impressione che ho avuto dei cattolici kazaki. Poi la convivenza con i musulmani è una cosa nella quale siamo avanti, non solo in Kazakhstan. Pensiamo al Nord Africa, c’è una bella convivenza, in Marocco per esempio, c’è un dialogo abbastanza buono. Mi fermo sull’incontro con i leader religiosi che abbiamo avuto: qualcuno criticava dicendo che questo «fa crescere il relativismo»: niente relativismo, ognuno ha detto la sua, tutti rispettavano l’altro, ma se non c’è dialogo c’è o ignoranza o guerra: meglio vivere da fratelli, siamo umani tutti. E come umani, bene educati, chiediamo “e tu che pensi?”, conosciamoci. Tante volte queste “guerre” malintese di religione, vengono per mancanza di conoscenza. Questo dunque non è relativismo, perché io non rinuncio alla mia fede se parlo con un altro della sua la fede. Sono rimasto ammirato che un paese così giovane, con tanti problemi, con il clima che ha, sia stato capace di fare sette edizioni di un incontro del genere, incontro mondiale con ebrei, cristiani, musulmani, religioni orientali, in un tavolo si vedeva che tutti parlavano e si ascoltavano con rispetto. Un paese così, un po’ all’angolo nel mondo, diciamo, fare una convocazione del genere. Poi la città è di una bellezza architettonica di prima categoria. E anche le preoccupazioni del governo, mi ha colpito tanto, il presidente del Senato, è lui che ha portato avanti questo incontro, ma poi ha trovato il tempo per farmi conoscere un cantante giovane, «lei deve conoscere questo ragazzo», un uomo aperto alla cultura. Sono stato felice di conoscerlo.

In Germania si registra una grave perdita di credenti, i giovani non sembrano più intenzionati di seguire la messa. Lei è preoccupato per questa tendenza ?

È vero che lo spirito di secolarizzazione e il relativismo mettono in discussione queste cose. Ma prima di tutto bisogna essere coerenti con la propria fede. Se tu sei un vescovo o un prete e non sei coerente, i giovani hanno il rifiuto, dicono ciao”. E quando una Chiesa, qualsiasi sia, pensa più ai soldi, ai piani pastorali e non alla pastorale, questo non attira la gente. Credo che i pastori devono andare avanti, e se i pastori hanno perso lodore delle pecore, e le pecore hanno perso lodore dei pastori, non si va avanti. Delle volte, sto parlando di tutti, in genere, non della Germania, si pensa come rinnovare, fare più moderna la pastorale: questo va bene, ma sempre che sia nelle mani di un pastore. Se la pastorale è nelle mani degli scientisti della pastorale, di quelli che opinano… Gesù ha fatto la Chiesa con pastori, non con guide politiche. Ha fatto la Chiesa con gente ignorante, i dodici erano uno più ignorante dellaltro, e la Chiesa è andata perché? Per il fiuto del gregge con il pastore e il pastore con il gregge, questo è il rapporto più grande. Il problema sono i pastori, e su quest mi permetto di suggerirti di leggere il commento di santAgostino sui pastori. Si legge in unora, una delle cose più sagge che sono state scritte per i pastori, e con questo tu puoi qualificare i pastori. Non si tratta di modernizzare. Si deve stare al aggiornati con i metodi, ma se manca il cuore del pastore non funziona nessuna pastorale, nessuna.

Vi ringrazio tanto per la pazienza, il vostro aiuto, vi auguro buona celebrazione del compleanno di Stefania e buon viaggio.

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