martedì 7 maggio 2019
Francesco auspica «una più stretta integrazione con i Paesi Europei» per l’intera regione dei Balcani. Incontro con i giovani, poi con il clero e i religiosi
Papa Francesco ai giovani: sognate e rischiate, come Madre Teresa
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La Macedonia del Nord è un «ponte tra oriente e occidente», che ha come «più prezioso e valido patrimonio» la «composizione multietnica e multireligiosa» del suo popolo. Ed è un «esempio a cui fare riferimento per una convivenza serena e fraterna». La Macedonia del Nord è un Paese da cui imparare per «il generoso sforzo» nell’«accogliere e prestare soccorso al gran numero di migranti e provenienti dal diversi Paesi medio-orientali». La Macedonia del Nord poi ha avuto l’onore di dare i natali a Madre Teresa, che «mossa dall’amore di Dio ha fatto della carità verso il prossimo la suprema legge della sua esistenza».

Papa Francesco è arrivato a Skopje, capitale della Macedonia del Nord, ultima tappa del suo 29mo viaggio apostolico. E non risparmia parole di elogio per questo Paese nato proprio 25 anni fa con la dissoluzione della Jugoslavia. Lo fa nel suo discorso alle autorità, la società civile e il corpo diplomatico nella Mosaique Hall del Palazzo Presidenziale.

Il Pontefice è stato accolto in aeroporto dal presidente (uscente) Gjorge Ivanov e dal primo ministro Zoran Zaev. Il programma della giornata è fitto. Il primo appuntamento è a Villa Vodno, la residenza del capo dello stato. È qui che dopo un colloquio privato con Ivanov e poi con Zaev, pronuncia il suo primo discorso.

«Macedonia del Nord, un crogiuolo di pacifica convivenza»

La Macedonia è un Paese di poco più di due milioni di abitanti. La composizione etnica e confessionale è molto variegata. È un «crogiuolo» che «ha dato luogo a una pacifica e duratura convivenza», riconosce il Pontefice.

I macedoni sono il 64%, gli albanesi il 25%, i turchi il 4%, i romeni il 3%, i serbi il 2%. Dal punto di vista religioso gli ortodossi sono il 65%, i musulmani il 33%, mentre i cattolici non raggiungono l’1%. Il Paese ha una storia giovane. Solo di recente ha risolto la controversia sul nome con la Grecia, e le elezioni presidenziali che si sono tenute domenica hanno visto la vittoria del candidato europeista e pro-Nato Stevo Pendarovski.

Nel suo discorso alle autorità il Papa auspica che «una più stretta integrazione con i Paesi Europei» si «sviluppi positivamente per l’intera regione dei Balcani occidentali», sempre però «nel rispetto delle diversità e dei diritti fondamentali». E infine incoraggia «a proseguire fiduciosi nel cammino iniziato per fare del vostro Paese un faro di pace, di accoglienza e di integrazione feconda tra culture, religioni e popoli».

La preghiera nel Memoriale di Madre Teresa

Finita la cerimonia nel Palazzo presidenziale, papa Francesco si reca a sostare in preghiera nel Memoriale dedicato a Madre Teresa, costruito nel luogo dove sorgeva la chiesa del Sacro Cuore di Gesù, dove venne battezzata.

Nella cappella di questa Casa memoriale papa Francesco incontra i leader delle comunità religiose del Paese e due cugini di Madre Teresa. E recita una preghiera composta per l’occasione (IL TESTO). Alla santa chiede di intercedere presso Gesù «affinché anche noi otteniamo la grazia di essere vigili e attenti al grido dei poveri» e affinché «ci conceda la grazia di essere anche noi segno di amore e di speranza nel nostro tempo, che vede tanti bisognosi, abbandonati, emarginati e emigranti». Quindi raggiunge il cortile dove sono presenti un centinaio di poveri assistiti dalle missionarie della Carità. E qui benedice la prima pietra del Santuario di Madre Teresa.

Tra i leader religiosi presenti nella Casa Memoriale c’è anche il metropolita Stefan, capo della Chiesa ortodossa che si è dichiarata autocefala nel 1967, distaccandosi dal Patriarcato serbo, senza però ricevere un riconoscimento canonico da nessuna Chiesa ortodossa. Anche per questo non c’è nessun momento particolare di saluto del Papa con l’esponente della principale confessione del Paese.

All'omelia: avere «fame di fraternità, fame di Dio»

Subito dopo la benedizione della prima pietra del Santuario, papa Francesco si sposta nella vicina piazza Macedonia per celebrare la messa con il piccolo gregge cattolico del Paese. Con lui concelebrano l’unico vescovo cattolico del Paese, monsignor Kiro Stojanov, e numerosi presuli provenienti da tutta la penisola balcanica. C’è anche il cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Vrhbosna-Sarajevo, di cui Skopje è diocesi suffraganea.

La piazza è un tripudio di bandiere macedoni, ma ce ne sono anche croate, bosniache e serbe. In 15mila assistono alla liturgia. In pratica lo stesso numero dei cattolici del Paese. Ma ci sono fedeli che vengono da fuori e anche non cattolici che sono venuti sfruttando il giorno festivo che il governo ha stabilito in onore dell’illustre ospite.

Nell’omelia papa Francesco prende spunto dal versetto del Vangelo di Giovanni: «Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete». «Ci siamo abituati – dice – a mangiare il pane duro della disinformazione e siamo fini prigionieri del discredito, delle etichette e dell’infamia». «Prigionieri della virtualità – incalza – abbiamo preso il gusto e il sapore della realtà». Il Pontefice esorta i fedeli ad avere «fame di pane, fame di fraternità, fame di Dio». Ed indica l’esempio: «Come conosceva tutto bene questo Madre Teresa che ha voluto fondare la sua vita su due pilastri: Gesù incarnato nell’Eucaristia e Gesù incarnato nei poveri!».

Con la messa finisce la mattinata a Skopje di Papa Francesco, che si trasferisce nell’episcopio per il pranzo con il seguito.

Nel pomeriggio sono seguiti gli ultimi due appuntamenti: l’incontro ecumenico e interreligioso con i giovani alle 16 e e quello con sacerdoti e religiosi alle 17.

Ai giovani: «Sognate e rischiate. Come Madre Teresa»

(Redazione Internet) “Sognare non è mai troppo”, e “non c’è età per sognare”. Lo ha detto il Papa, durante l’incontro ecumenico e interreligioso con i giovani, nel Centro pastorale di Skopje, riportato dall'agenzia Sir. “Uno dei principali problemi di oggi e di tanti giovani è che hanno perso la capacità di sognare”, la tesi di Francesco, che ha risposto alle domande dei giovani: “Né molto né poco, non sognano. E quando una persona non sogna, quando un giovane non sogna questo spazio viene occupato dal lamento e dalla rassegnazione, della tristezza. Questi li lasciamo a quelli che seguono la ‘dea lamentela’! È un inganno: ti fa prendere la strada sbagliata”. “Quando tutto sembra fermo e stagnante, quando i problemi personali ci inquietano, i disagi sociali non trovano le dovute risposte, non è bene darsi per vinti”, l’appello del Papa sulla scorta della Christus vivit: “mai e poi mai si sogna troppo”.

“Dare speranza a un mondo stanco, insieme agli altri, cristiani e musulmani”, il sogno richiamato da Francesco, che poi ha citato il suo “sogno” con “un amico, il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, che ci ha portato a volerci impegnare e a firmare insieme un documento che dice che la fede deve portare noi credenti a vedere negli altri dei fratelli che dobbiamo sostenere e amare senza lasciarci manipolare da interessi meschini”.

“Voi giovani dovete sognare alla grande”, l’appello del Papa. “Il mondo è stanco, è invecchiato, il mondo è diviso e sembra vantaggioso dividerlo e dividerci ancora di più”, la denuncia: “Quale maggior adrenalina che impegnarsi tutti i giorni, con dedizione, ad essere artigiani di sogni, artigiani di speranza? I sogni ci aiutano a mantenere viva la certezza di sapere che un altro mondo è possibile e che siamo chiamati a coinvolgerci in esso e a farne parte col nostro lavoro, col nostro impegno e la nostra azione”.

“In questo Paese c’è una bella tradizione, quella degli artigiani scalpellini, abili nel tagliare la pietra e lavorarla”, ha detto Francesco, secondo il quale “bisogna fare come quegli artisti e diventare bravi scalpellini dei propri sogni. Dobbiamo lavorare sui nostri sogni. Uno scalpellino prende la pietra nelle sue mani e lentamente comincia a darle forma e trasformarla, con applicazione e sforzo, e specialmente con una gran voglia di vedere come quella pietra, per la quale nessuno avrebbe dato nulla, diventa un’opera d’arte”.

Non abbiate paura di diventare artigiani di sogni e di speranza”, l’appello del Papa, che ha riproposto ai giovani la ricetta della Christus vivit: “I sogni più belli si conquistano con speranza, pazienza e impegno, rinunciando alla fretta. Nello stesso tempo, non bisogna bloccarsi per insicurezza, non bisogna avere paura di rischiare e di commettere errori. Piuttosto dobbiamo avere paura di vivere paralizzati, come morti viventi, ridotti a soggetti che non vivono perché non vogliono rischiare, e un giovane che non rischia è un morto. Non vogliono rischiare perché non portano avanti i loro impegni o hanno paura di sbagliare. Anche se sbagli, potrai sempre rialzare la testa e ricominciare, perché nessuno ha il diritto di rubarti la speranza”.

Dobbiamo avere il coraggio di essere diversi, di mostrare altri sogni che questo mondo non offre, di testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale”.

È l’invito del Papa, che dialogando con i giovani ha additato ancora una volta l’esempio di Madre Teresa: “Quando viveva qui non poteva immaginare come sarebbe stata la sua vita, ma non smise di sognare e di darsi da fare per cercare sempre di scoprire il volto del suo grande amore, Gesù, in tutti coloro che stavano al margine della strada. Lei ha sognato in grande e per questo ha anche amato in grande.

Aveva i piedi ben piantati qui, nella sua terra, ma non stava con le mani in mano. Voleva essere ‘una matita nelle mani di Dio’. Ecco il suo sogno artigianale. L’ha offerto a Dio, ci ha creduto, ci ha sofferto, non ci ha mai rinunciato. E Dio ha cominciato a scrivere con quella matita pagine inedite e stupende”.

Una ragazza del vostro popolo, una donna del vostro popolo ha scritto cose grandi: non è lei che le ha scritte, le ha scritte Dio, ma lei si è lasciata guidare da Dio”, ha aggiunto a braccio. “Ciascuno di voi, come Madre Teresa, è chiamato a lavorare con le proprie mani, a prendere la vita sul serio, per fare di essa qualcosa di bello”, l’esortazione di Francesco: “Non permettiamo che ci rubino i sogni, non priviamoci della novità che il Signore ci vuole regalare. Troverete molti imprevisti, molti…, ma è importante che possiate affrontarli e cercare creativamente come trasformarli in opportunità. Mai da soli: nessuno può combattere da solo”.

Nessuno può affrontare la vita in modo isolato, non si può vivere la fede, i sogni senza comunità, solo nel proprio cuore o a casa, chiusi e isolati tra quattro mura, c’è bisogno di una comunità che ci sostenga, che ci aiuti e nella quale ci aiutiamo a vicenda a guardare avanti”. Ne è convinto il Papa, che davanti ai giovani riuniti nel Centro pastorale di Skopje ha ribadito: “Com’è importante sognare insieme! Come fate oggi: qui, tutti uniti, senza barriere. Per favore, sognate insieme, non da soli; con gli altri, mai contro gli altri. Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; insieme si costruiscono i sogni”.

Poi una parentesi a braccio: “Pochi minuti fa abbiamo visto dei bambini che giocavano qui, volevano giocare e giocare insieme: e non volevano giocare davanti a uno schermo. Erano felici, contenti, perché sognavano di giocare insieme, l’uno con l’altro. A un certo punto uno ha cominciato a sognare contro l’altro e ha cercato di vincerlo, e quella gioia si è trasformata in pianto del povero che rimasto sul pavimento. Avete visto che si può passare da sognare con l’altro a sognare contro l’altro: mai dominare l’altro, fare comunità con l’altro!”.

“Negli anni che ho – e non sono pochi – sapete qual è la miglior lezione che ho visto e conosciuto in tutta la mia vita? Il faccia a faccia”, ha rivelato Francesco ai giovani: “Siamo entrati nell’era delle connessioni, ma sappiamo poco di comunicazioni. Troppi contatti, ma poco comunicarsi. Molto connessi e poco coinvolti gli uni con gli altri. Perché coinvolgersi chiede la vita, esige di esserci e condividere momenti belli… e altri meno belli. Al Sinodo dedicato ai giovani lo scorso anno, abbiamo potuto vivere l’esperienza di incontrarci faccia a faccia, giovani e meno giovani, e ascoltarci, sognare insieme, guardare avanti con speranza e gratitudine”.

“Quello è stato il miglior antidoto contro lo scoraggiamento e la manipolazione, contro la cultura dell’effimero e dei falsi profeti che annunciano solo sventure e distruzione: ascoltare e ascoltarci”, la testimonianza di Francesco: “E permettetemi di dirvi qualcosa che sento proprio nel cuore: concedetevi l’opportunità di condividere e godervi un buon ‘faccia a faccia’ con tutti, ma soprattutto con i vostri nonni, con gli anziani della vostra comunità. Qualcuno forse me lo ha già sentito dire, ma penso che è un antidoto contro tutti quelli che vogliono rinchiudervi nel presente affogandovi e soffocandovi con pressioni ed esigenze di una presunta felicità, dove sembra che il mondo finisca e bisogna fare e vivere tutto subito. Ciò genera con il tempo molta ansia, insoddisfazione e rassegnazione”.

Al clero e ai religiosi

“Il ‘fare i conti’ ci può condurre alla tentazione di guardare troppo a noi stessi, e ripiegati sulle nostre realtà e miserie possiamo finire quasi come i discepoli di Emmaus, proclamando il kerigma con le nostre labbra mentre il nostro cuore si chiude in un silenzio segnato da sottile frustrazione, che gli impedisce di ascoltare Colui che cammina al nostro fianco ed è fonte di gioia e allegria”. Lo ha detto papa Francesco, incontrando nella cattedrale del Sacro Cuore di Gesù a Skopje i sacerdoti, le loro famiglie e i religiosi della Macedonia del Nord.

“In non poche situazioni sentiamo la necessità di fare i conti: incominciamo a guardare quanti siamo… e siamo pochi; i mezzi che abbiamo… e sono pochi; poi vediamo la quantità di case e di opere da sostenere… e sono troppe…”, ha detto Francesco dopo aver ascoltato alcune testimonianze: “Potremmo continuare a enumerare le molteplici realtà in cui sperimentiamo la precarietà delle risorse che abbiamo a disposizione per portare avanti il mandato missionario che ci è stato affidato. Quando succede questo sembra che il bilancio sia ‘in rosso’”.

“Fare i conti”, ha spiegato il Papa, “è sempre necessario quando ci può aiutare a scoprire e ad avvicinare tante vite e situazioni che pure ogni giorno stentano a far quadrare i conti: famiglie che non riescono ad andare avanti, persone anziane e sole, ammalati costretti a letto, giovani intristiti e senza futuro, poveri che ci ricordano quello che siamo: una Chiesa di mendicanti bisognosi della Misericordia del Signore”.

È lecito ‘fare i conti’ – il monito di Francesco – solo se questo ci permette di metterci in movimento per diventare solidali, attenti, comprensivi e solleciti nell’accostare le stanchezze e la precarietà da cui sono sommersi tanti nostri fratelli bisognosi di una Unzione che li sollevi e li guarisca nella loro speranza. È lecito fare i conti solo per dire con forza e implorare col nostro popolo: ‘Vieni Signore Gesù!'”.

Questa terra - ha poi detto - ha saputo regalare al mondo e alla Chiesa, in Madre Teresa, un segno concreto di come la precarietà di una persona, unta dal Signore, sia stata capace di impregnare tutto, quando il profumo delle beatitudini si sparse sopra i piedi stanchi della nostra umanità”.

È l’ennesimo omaggio di Francesco alla santa di Skopje, anche nell’incontro con il clero della Macedonia del Nord, al termine del quale il Papa ha benedetto la prima pietra del santuario dedicato a San Paolo.

“Quanti vennero tranquillizzati dalla tenerezza del suo sguardo, confortati dalla sua carezza, sollevati dalla sua speranza e alimentati dal coraggio della sua fede capace di far sentire ai più dimenticati che non erano dimenticati da Dio!”, ha esclamato Francesco, che subito dopo ha citato anche le parole di Santa Teresa Benedetta della Croce: “Sicuramente, gli avvenimenti decisivi della storia del mondo sono stati essenzialmente influenzati da anime sulle quali niente si dice nei libri di storia. E quali siano le anime che dobbiamo ringraziare per gli avvenimenti decisivi della nostra vita personale, è qualcosa che conosceremo soltanto il giorno in cui tutte le cose occulte verranno rivelate”.

Ciò che salva dal “carrierismo”, ha spiegato il Papa, è “il tornare alla prima vocazione”. “Per rinnovare noi stessi, tante volte, dobbiamo tornare indietro per incontrare il Signore”, ha aggiunto a braccio: “riprendere la memoria della prima chiamata, ricordare la bellezza di quell’incontro con Gesù che ci ha chiamato. Mai perdere la memoria della prima chiamata, è un sacramentale. E’ vero che le difficoltà dei lavori apostolici ci ‘guastano’ la vita e si può perdere la voglia della preghiera, di incontrare il Signore. Se ti trovi così, fermati, torna indietro: incontrati con il Signore della prima chiamata. Questa memoria ti salverà”.

Molte volte spendiamo le nostre energie e risorse, le nostre riunioni, discussioni e programmazioni per conservare approcci, ritmi, prospettive che non solo non entusiasmano nessuno, ma che sono incapaci di portare un po’ di quell’aroma evangelico in grado di confortare e di aprire vie di speranza, e ci privano dell’incontro personale con gli altri”, la denuncia di Francesco: “Come sono giuste le parole di Madre Teresa: ‘Ciò che non mi serve, mi pesa! Lasciamo tutti i pesi che ci separano dalla missione e impediscono al profumo della misericordia di raggiungere il volto dei nostri fratelli. Una libbra di nardo è stata capace di impregnare tutto e di lasciare un’impronta inconfondibile. Non priviamoci del meglio della nostra missione, non spegniamo i battiti dello spirito”.

C’è il pericolo che quando non si vive in famiglia, quando non c’è il bisogno di accarezzare i propri figli, il cuore divenga un po’ ‘zitello’. E poi c’è il pericolo che il voto di castità, delle suore e dei preti celibatari, si trasformi in voto di ‘zitellonia’”. È il monito pronunciato a braccio, dal Papa, al termine del discorso rivolto al clero della Macedonia, del Nord, durante l’ultimo incontro pubblico.

“Quanto male fa una suora ‘zitellona’ o un prete ‘zitellono’!”, ha esclamato ancora a braccio Francesco soffermandosi sulla “importanza della tenerezza nel ministero presbiterale e nella testimonianza della vita religiosa”. “Oggi – la testimonianza del Papa sempre fuori testo – ho avuto la grazia di vedere suore con tanta tenerezza. Quando sono andato al Memoriale di Madre Teresa, ho visto le religiose con quanta tenerezza curavano i poveri. Per favore: tenerezza! Mai sgridare. Acqua benedetta, mai aceto! Sempre con quella dolcezza del Vangelo, accarezzare le anime”.

“Se nella vita sacerdotale e religiosa entra il carrierismo, il cuore diviene duro, acido, e si perde la tenerezza”, il monito a braccio di Francesco: “Il carrierista o la carrierista ha perso la capacità di accarezzare”. “I mezzi materiali ci vogliono, sono necessari, ma non sono i più importanti”, ha concluso il Papa esortando a “non perdere la capacità di accarezzare, non perdere la tenerezza ministeriale e la tenerezza della consacrazione religiosa”. “Grazie di aver manifestato il volto familiare del Dio con noi che non smette di sorprenderci in mezzo alle stoviglie! Grazie di questa capacità di respirare a pieni polmoni”, il saluto finale.





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