domenica 24 novembre 2013
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Illustre responsabile,
(non posso usare il termine “direttore”, troppo maschilista).
Sono genitore (termine anch’esso troppo maschile, sarebbe meglio “tutor”) di cinque minori (parola neutra per fortuna) prodotti mediante la fecondazione spontanea e naturale di un ovulo con uno spermatozoo (metodo antiquato, lo so, ma non possiamo permetterci di meglio). Sono riunito da un contratto familiare a tempo indeterminato (per carità, sempre rescindibile, sia chiaro) a un essere umano che per ora si orienta sul genere femminile, e attualmente io e tale persona abbiamo un problema: in vista della imminente rivoluzione nei moduli di iscrizione a scuola, dovremo stabilire chi sarà genitore 1 e chi genitore 2. In altri tempi io, che per ora mi identifico nel maschio (guai a dire “padre”, potrei esser processato in un futuro non molto lontano con rito direttissimo), avrei potuto scegliere tra l’“uno” per rivendicare l’autorità paterna ed il “due” per cavalleria verso la mia (ops, scusi l’uso del possessivo) donna. Ieri. Ma oggi no, per carità, siamo ben oltre il 2000, siamo moderni, e tali criteri non si usano più. E allora che facciamo? Non ci sono criteri, non ci sono certezze. Mi dica lei: io devo esser genitore 1 o 2?
Abbiamo pensato di farlo a giorni alterni: nei giorni dispari io sono 1, nei giorni pari 2, e viceversa.
Abbiamo anche attaccato al frigorifero una tabella, così non ci si sbaglia. Son sicuro che funzionerà: se uno dei minori avrà un disagio, o vorrà chiedere qualcosa, andrà in cucina, guarderà che giorno è, poi a voce alta dirà: «Genitore uno?». E basterà che noi, che avremo salvato sullo smartphone la tabella, diamo un’occhiata per sapere a chi si rivolge. Le devo dire che sono soddisfatto. Viva la parità, viva lo zero a zero!
Federico Vincenzi, Brescia
 
Bel quadretto, caro avvocato Vincenzi. Chiunque sia munito non dico di sani princìpi, come si sarebbe detto un tempo, ma almeno di un po’ di buon senso si rende facilmente conto che i suoi azzeccati paradossi mettono perfettamente in luce la strampalata e devastante logica che governa l’offensiva contro quelle che con lessico quasi museale si usa definire le “figure parentali tradizionali”. Verrebbe da coronare la sua lettera semplicemente con un ben diverso esclamativo: viva la mamma, e viva il papà! Ma penso sia utile concentrarsi brevemente sulla sua conclusione: «Viva la parità, viva lo zero a zero!». Chi, come me e come lei, sa e sperimenta che uomini padri e donne madri sono assieme e accanto, con uguale altezza e diverso ruolo (uso ancora una volta questa espressione che è frutto della mia storia personale e familiare, ma che penso moltissimi condividano) fa fatica anche solo a concepire l’idea di relazioni paritarie fondate su un “pareggio senza reti”. Cioè sull’annullamento del femminile–maschile. Cioè, ancora, sulla rimozione “culturale” della naturale ed essenziale differenza fertile che fa vincere tutti nella grande partita della vita. Per ognuno, proprio per ogni persona, qualunque condizione viva, c’è rispetto, accoglienza e solidarietà quando si ha chiaro che la famiglia è – come dice Papa Francesco, significativamente all’unisono con i vescovi italiani – il vero straordinario «motore del mondo e della storia» e la si prende a modello per relazioni fondate sull’amore e sulla capacità generativa (che, non stanchiamoci di ripeterlo e di dimostrarlo, è anche morale e spirituale). Le insensate gimkane lessicali non cancellano la realtà. E in nome delle eccezioni, che mai mancano nelle vicende umane, non si può pretendere di cancellare regole scolpite nel grande codice della natura. Le complementari interezze umane non contemplano «zero a zero», cioè una rinuncia stravagante e impossibile.
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