sabato 7 marzo 2009
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Si sa: anche al testo sacro si può far dire ciò che si vuole. Basta togliere un versetto e isolarlo dal suo contesto. L’operazione non è più difficile se la mistificazione riguarda il pensiero di un papa. Oggi persino Paolo VI può tornare utile in funzione polemica: è sufficiente isolare una sua frase, e può venirne fuori persino una reprimenda contro chi si opponeva al fatto che Eluana venisse lasciata morire di fame e di sete. Un’operazione proditoria e mirata, con cui Montini viene arruolato d’ufficio nel fronte di chi sta opponendosi alla legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento in via di definizione al Senato. Una frase montiniana è stata infatti richiamata di recente – peraltro a sproposito – su importanti organi di stampa. Pare che il senatore Ignazio Marino se la sia anche fatta incorniciare, per averla davanti agli occhi come costante ispirazione, mentre nella presente legislatura (come già nella passata) lavora all’introduzione in Italia di un suo proprio 'testamento biologico'. La frase è stata estrapolata da un messaggio di saluto fatto pervenire nel 1970 da Paolo VI, per il tramite del suo segretario di Stato cardinale Villot, alla Federazione internazionale delle associazioni dei medici cattolici (Fiamc) in occasione del congresso riunito a Washington. Nel testo – che a forza di citazioni incrociate ha finito per conquistarsi una sua notorietà – si leggeva che «il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l’ora ineluttabile e sacra dell’incontro dell’anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo. Anche in questo il medico deve rispettare la vita» ( Osservatore Romano, 12­13 ottobre 1970). Solo a un lettore distratto le parole di Paolo VI potrebbero suonare dure. E solo chi non è medico (dunque non Ignazio Marino) potrebbe in buona fede pensare che la «rianimazione vegetativa» sia quella che si pratica per tenere in vita i pazienti in stato vegetativo. Bastava leggere per intero il messaggio per rendersi conto che il segretario di Stato, a nome del Papa, invitava i medici cattolici a opporsi con ogni mezzo alle sperimentazioni che usano l’uomo come strumento al servizio della scienza, all’aborto e all’eutanasia, definita senza mezzi termini moralmente criminosa quand’anche divenisse legale. Tra le molte affermazioni forti di papa Montini in quel testo malamente riportato, vale almeno la pena citare la seguente: «Senza il consenso del malato l’eutanasia è un omicidio, con il suo consenso è un suicidio». Anche isolandola dal contesto, tuttavia, la frase del Papa non avrebbe mai dovuto essere interpretata come è stato fatto, e ciò rende l’opera di disinformazione ancor più grave. Appare evidente, infatti, che parlando della «rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile» Paolo VI si riferisse ai malati terminali, verso i quali invitava ad astenersi da ogni ostinazione terapeutica. Ma Eluana non era una malata incurabile, bensì una grave disabile. Ancor meno, al pari di tutti i pazienti in stato vegetativo, ella poteva essere definita 'terminale': basterebbe la sua lunga sopravvivenza a smentirlo. Eluana è diventata 'terminale' solo il giorno in cui, varcata la soglia della «Quiete» di Udine, le è stata deliberatamente sospesa l’idratazione per affrettarne la morte. Quanto alla rianimazione vegetativa, essa si riferisce alla rianimazione delle funzioni (vegetative) cardiaca e respiratoria, della quale i pazienti in stato vegetativo non hanno alcun bisogno. Infatti, per la loro (lunga) sopravvivenza essi non necessitano di ventilatori o di supporti cardiocircolatori, ma solo di buona assistenza. In qualità di presidente emerito della Fiamc, mi corre infine l’obbligo di un ringraziamento: la Federazione, distintasi per la sua fedeltà al magistero della Chiesa, non aveva mai ricevuto tanta pubblicità gratuita dalla stampa laicista. Gliene siamo debitori.
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