sabato 20 aprile 2013
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In appena due giorni nell’Assemblea dei grandi elettori del nuovo capo dello Stato si è riusciti a mettere in scena tutto il peggio dei riti e dei passaggi parlamentari della Prima e della Seconda Repubblica: franchi tiratori e congiure ribaltonesche di palazzo. Anche se ormai si spara sulla Croce Rossa e da ribaltare politicamente c’è ben poco. Il danno alle Istituzioni è, invece, assai grave. Grave almeno quanto la crisi di fiducia nei partiti. Grave almeno quanto la sfrontata pesantezza dei giochi di prestigio e d’interdizione dei vecchi e nuovi “potenti” che possono approfittare della impressionante debolezza e mancanza di visione di questa classe dirigente. Naturalmente, chi ha più ruolo ha più responsabilità. E le dimissioni annunciate da Pier Luigi Bersani lo dimostrano. Il Partito democratico, forza di maggioranza relativa, ha prima fallito la prova della “larga intesa” attorno a una figura di riconosciuto equilibrio del calibro di Franco Marini e ora, assieme ai suoi alleati, ha trasformato in devastante boomerang anche la prova di compattezza attorno a Romano Prodi, personalità di statura internazionale e uomo-simbolo del centrosinistra secondorepubblicano. Il risultato è che nessun raggio di sole ha cominciato a rassodare il pantano dell’inestricabile impasse nella formazione del primo governo della XVII Legislatura. E anche la strada per il Quirinale è diventata un percorso di guerra costellato di stendardi spezzati e di bandiere sbrindellate. È l’esatto contrario di quanto sarebbe stato giusto e necessario mostrare ai cittadini che guardano e giudicano, ed è l’esatto contrario di quanto ci eravamo azzardati ad auspicare alla vigilia di queste votazioni. Ma il guasto non è irreparabile, purché si sappia tornare, con un soprassalto di saggezza politica e istituzionale, sulla via maestra.​​
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