domenica 31 marzo 2013
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Caro direttore,
esempi e non solo parole. Leggendo su "Avvenire" del 26 marzo l’articolo di Francesco Ognibene "L’inesauribile sorpresa" mi verrebbe da aggiungere agli atti e agli interventi esemplari di papa Francesco il comportamento da lui tenuto nei confronti della presidente dell’Argentina, Cristina Fernández de Kirchner. Jorge Mario Bergoglio, da arcivescovo di Buenos Aires, aveva richiesto alla presidente un incontro in molte e diverse occasioni, senza mai essere ricevuto: ma dopo l’elezione di quello stesso arcivescovo a Papa, la presidente Kirchner – come richiesto da prassi e diplomazia – è venuta a Roma per rendere omaggio al Pontefice e gli ha chiesto udienza. E papa Francesco non solo l’ha ricevuta subito, ma per toglierla dall’imbarazzo e per metterla a suo agio l’ha baciata – fuori da ogni protocollo –, l’ha invitata a pranzo e l’ha ricevuta altre due volte nello spazio di pochi giorni. Un atteggiamento di accoglienza che vale più di tante parole, un esempio che dovrebbe valere per tanti nostri politici e per ogni cristiano nei confronti di qualunque "altro", amico o meno.
Nei discorsi di papa Francesco mi ha, poi, colpito una frase riferita alla nonna: «Il sudario non ha tasche». Mi ricorda una frase di mio nonno, commerciante di legna e carbone, che alla denuncia che gli facevano suoi operai nei confronti di qualcuno che rubava legna o carbone, rispondeva: «Si vede che hanno più bisogno di me...». Da quella famiglia di otto figli sono usciti un missionario comboniano e un frate cappuccino. La carenza di vocazioni non è, forse, colpa dell’esempio e dell’educazione che diamo noi genitori? Cordiali saluti e auguri di buona Pasqua.
Gino Pazzaglia, Pesaro
La saggezza dei semplici rende altrettanto semplice comunicare le verità profonde e realizzare le cose grandi. Lei, caro signor Pazzaglia, coglie un punto molto importante della predicazione e dell’azione di papa Francesco. E ha proprio ragione: condurre una vita cristiana – farsi parola e, soprattutto, esempio – è “contagioso”. Rende più buono un impasto sociale (riconoscere, ad esempio, chi «ha più bisogno» è la premessa dell’altruismo e di una giustizia dal volto umano). Induce a un generoso senso della misura (ricordare che «il sudario non ha tasche», serve a costruire ciò che dura ed è condiviso e non solo ciò che appaga, in modo magari effimero, il nostro io). Fa risaltare la forza e la bellezza della pazienza e l’allegria che viene accesa dal perdono. Fa nascere vocazioni religiose e civili, e le custodisce perché le rispetta, le riconosce e fa festa per esse. La «carenza di vocazioni» (potremmo dire l’alienazione delle nostre vocazioni, magari per calcolo e commercio o per impaurita rinuncia o per mancanza di maestri incontrati e amati) è, infatti, oggi, un male che affligge le nostre società in molti modi. Ma noi sappiamo, o almeno dovremmo sapere, che per continuare la creazione – che è il vivo disegno di amore di Dio – ognuno deve mettere a frutto i talenti che ha ricevuto, deve capire se c’è un “di più” che è offerto e chiesto alla nostra libertà e, al tempo stesso, può rendersi conto di quanto tutto ciò ci riguardi tutti e mai sia solo affare di una singola persona. Non è facile tenerlo a mente nel caotico concerto di lusinghe e di invettive che ci circonda. Per questo è decisivo, caro amico, preservare e ridare forza a quella prima ed essenziale scuola di umanità e di fede che è la famiglia. Per i cristiani è un’impegnativa scuola senza orario e senza ansie di risultato, che madri e padri – assieme ai nonni che sono, per così dire, due volte madri e padri – tengono aperta per il solo fatto di esserci e di cercare di vivere in modo giusto, dimostrando con tenacia e tenerezza che cosa è bene e che cosa è male, respirando e facendo respirare aria pulita e idee pulite. Credo che ancora e sempre, anche in un tempo confuso come l’attuale, tanta della nostra gente abbia questo nel cuore e nella memoria e di questo abbia voglia nella propria vita. È bene che sia così, e ci rincuora questo Papa che, con le sue parole e i suoi gesti ce lo fa capire meglio, riaccendendo in tanti una buona nostalgia di Dio e di futuro. È la riscoperta che la verità è semplice, e familiare. È l’attesa nei nostri giorni, dentro alle nostre vocazioni, della risurrezione di Gesù Cristo. Ricambio il suo saluto, augurando a lei e a tutti gli amici lettori una buona e santa Pasqua.
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