Vere priorità del Paese e carità cristiana: dialogo padre-figlia su ciò che «importa»
sabato 21 maggio 2016
Gentile e caro direttore,in questi primi anni del XXI secolo – che corrispondono esattamente a quelli trascorsi duemila anni fa su questa terra da Nostro Signore – mi vengono in mente tante di quelle cose, che tutti possiamo e dobbiamo ricordare. Siamo giunti al post-secolarismo, definito da Benedetto XVI “dittatura del relativismo”; inutile cercare la Verità, perché – così sostiene il pensiero debole – nessuno l’ha mai trovata. Inoltre, in questi troppo lunghi anni di crisi, quando la disoccupazione, la miseria e l’accoglienza di tanti disperati sarebbero i problemi più grandi da risolvere, (assieme a un necessario e importante miglioramento della situazione economico-finanziaria del nostro Paese), una percentuale minima di nostri connazionali che sono omosessuali è riuscita a obbligare l’Esecutivo a trattare prioritariamente i loro casi, che hanno poca importanza, comparati con la vera situazione che tutti soffriamo e che dobbiamo risolvere con la buona volontà, che sembra non più esistere. Grazie! Complimenti, e sappia che il nostro “Avvenire” continua a essere il più bel quotidiano del mondo.
Stefano Cavalli
91enne
Gentile direttore,
dopo aver inviato la lettera scritta da mio padre Stefano, a cena abbiamo parlato di ciò che le ha scritto. Ne è nato un approfondimento in famiglia sul valore della carità cristiana, metro sicuro per “giudicare” i valori dell’uomo creato da Dio. Continuo ad approfondire il rapporto con mio padre, che è veramente uomo di un altro secolo, e sto dando valore agli anni della vecchiaia come un Vero Dono, anche quando le vedute non sono condivise. In particolare, per questo le scrivo, non ho condiviso la frase «che hanno poca importanza» riferito ai «casi» delle persone omosessuali, pur condividendo tutto il resto dello scritto. Credo che i seri problemi del nostro Paese, descritti da mio padre, siano la priorità autentica. Sappia, direttore, che mio padre legge tutti i giorni con entusiasmo il “nostro” giornale per ore e ore: non si annoia mai! Merito vostro. Grazie, un cordiale buon lavoro a voi tutti!
Marta Cavalli
San Giuliano Milanese
 
Il gran tema delle priorità di un’Italia appesa da anni tra bisogno e desiderio, tra assilli e svagatezze, tra domande rese urgenti e risposte davvero urgenti e non riconosciute è di accorata e pressante attualità. E con esso l’inevitabile comparazione tra le attenzioni date, non date a sufficienza o negate del tutto da chi regge il timone del governo sia a livello centrale sia nelle tante altre vitali “capitali” e “periferie” di un Paese che, come ci ha insegnato a vedere Giuseppe De Rita, è nel bene e nel male poliarchico. Una condizione che è una potenziale forza, anche se oggi non è più molto di moda affermarlo. In qualche modo, il caro dottor Stefano Cavalli e sua figlia Marta ci aiutano a ricordarlo alla vigilia di un voto amministrativo vasto e importante come quello del prossimo 5 giugno. Averlo chiaro può esserci solo utile. Anche di questo li ringrazio, sebbene non fosse esattamente qui il cuore delle loro lettere. Che mi sono piaciute molto. Mi piace il loro dialogo con me e tra di loro, attraverso “Avvenire”. Apprezzo e condivido la loro sintonia nella lettura della realtà italiana nella quale «la disoccupazione, la miseria e l’accoglienza di tanti disperati» reclamano risposte pienamente adeguate. Vedo, senza stupirmi, che le loro parole riecheggiano significativamente l’analisi delineata «in ascolto della gente» dal presidente della Cei e le preoccupazioni emerse durante l’appena conclusa assemblea annuale dei nostri vescovi. E mi colpisce la delicatezza con cui una figlia matura e consapevole integra il punto di vista un padre molto amato e rispettato: non cancellandone le parole, ma richiamando il valore-guida della carità cristiana per la quale nessun “caso”, nessuna espressione della nostra comune umanità ha «poca importanza». Le vite e le domande delle persone omosessuali contano non per il loro numero, ma proprio in quanto sono le vite e le domande di persone tutte intere, concittadini, a volte (e non raramente) donne e uomini credenti (ne abbiamo dato conto a più riprese in questi anni e ce ne siamo occupati a fondo nei giorni scorsi in un bell’articolo di Luciano Moia) o in cerca di Dio. Chi, come noi, ritiene sbagliato il modo con cui si è scelto di regolare le convivenze tra persone dello stesso sesso con la legge che sta per entrare in vigore, contemporaneamente, denuncia da anni e s’impegna per far finire la disumana e disumanizzante pratica dell’«utero in affitto» (un mercato indegno al quale, lo ricordo ancora una volta, si rivolgono in maggioranza coppie eterosessuali) non per questo mette tra parentesi la considerazione che ho appena ricordato e che è giustamente dovuta. Il Catechismo della Chiesa cattolica è molto esigente con le persone omosessuali: indica loro la via della castità, cioè – la cosa mi ha sempre fatto pensare molto – li chiama a vivere uno dei tre “consigli evangelici” (gli altri sono povertà e obbedienza) che la Chiesa offre come regola alle persone consacrate. Ma è molto chiaro, il Catechismo, anche sull’accoglienza che va loro riservata, fatta di «rispetto», «delicatezza» e «compassione» che è la capacità di sentire insieme all’altro e sull’impegno contro «ogni marchio di ingiusta discriminazione». Credo che queste lettere siano un dono prezioso per tutti. Per noi di “Avvenire”, l’attenzione, l’apprezzamento e l’affetto di lettori così sono un vero tesoro.
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