sabato 13 aprile 2013
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Mentre sta per prendere il via l’elezione che designerà il dodicesimo Capo dello Stato repubblicano, fioriscono iniziative al di fuori delle istituzioni che propongono questo o quel nome (ad esempio la petizione pro-Rodotà, appena lanciata dalla 'sinistra dei beni comuni'), questo o quel profilo (ad esempio l’iniziativa in favore di 'una donna al Quirinale'), così come pubbliche dichiarazioni del più vario tipo a favore di uno o dell’altro personaggio (non poteva mancare Roberto Saviano, il quale ha fatto sapere di gradire il ministro Anna Maria Cancellieri).
Si tratta di iniziative che si sono diffuse dagli anni 90 in poi (un appello pro-Bobbio fu lanciato nel 1992, un altro pro-Bonino è diventato praticamente permanente...), dopo la crisi di quella che Pietro Scoppola ha chiamato «Repubblica dei partiti», durante la quale le elezioni presidenziali prendevano il via con le «candidature di bandiera» (come quella di Guido Gonella per la Dc nel 1978), vale a dire con i candidati designati da ciascun partito, nell’attesa di 'convergere' con altre forze sul nuovo Presidente.
Tutte queste iniziative erano e sono un po’ in tensione con la 'filosofia' che sorregge l’elezione presidenziale italiana, sia muovendo dal dato normativo-costituzionale, sia da quella che poi si è delineata come una prassi costante: non a caso nessuno dei beneficiari di tali iniziative (né i candidati di bandiera, né i candidati della sedicente società civile) è mai riuscito a scalare il Colle più alto. Così come l’intento non è riuscito ai leader di partito in servizio al momento dell’elezione (unica parziale eccezione il padre fondatore del Pdsi, Giuseppe Saragat, eletto nel 1964) e sono sempre falliti i tentativi di piazzare al Quirinale una sorta di super-leader della maggioranza di governo: non che qualcuno non ci abbia provato (Fanfani nel 1964 e nel 1971, Forlani e Andreotti nel 1992, D’Alema nel 2006, per non dimenticare Aldo Moro, che era il candidato naturale alla presidenza per il 1978, ma fu assassinato dai brigatisti rossi pochi mesi prima).
La logica delle elezioni presidenziali (espressa nelle relative regole: assenza di candidature formali, scrutinio segreto, maggioranza dei due terzi nei primi 3 scrutinii, poi maggioranza assoluta, non sempre facile da raggiungere e talora – come nel 1992 – mancata per poco) ha però sempre portato da un’altra parte. Quasi tutti i Presidenti sono stati sì politici di lungo – se non di lunghissimo – corso, ma sono arrivati al Quirinale dopo aver svolto funzioni ritenute 'istituzionali', come quella di presidente di una assemblea parlamentare (De Nicola, Gronchi, Leone, Pertini, Scalfaro e Napolitano erano stati presidenti della Camera, Cossiga presidente del Senato, Saragat dell’Assemblea costituente) o di governatore della Banca d’Italia (Einaudi e Ciampi). Questa tendenza è sopravvissuta ai grandi terremoti della storia repubblicana, come quelli che hanno preceduto le elezioni del 1978 (terrorismo, caso Moro e dimissioni di Leone) e del 1992 (Tangentopoli, dimissioni di Cossiga e strage di Capaci).
L’assoluta novità delle elezioni del 2013 – sullo sfondo della delicata situazione che è ben nota – sono le 'Quirinarie', vale a dire le consultazioni online indette dal Movimento 5 Stelle per designare il futuro Presidente e poi annullate e riconvocate, a seguito di qualche defaillance informatica. A prima vista, si potrebbe leggere questa iniziativa, il cui nome ricorda i giochi senza frontiere, come un modo postmoderno per designare il 'candidato di bandiera' di un partito al Quirinale: dunque un nome nuovo e un po’ ridicolo per una cosa vecchia quanto la 'Repubblica dei partiti'. Forse, però, le cose non stanno così, o almeno non solo così.
La pretesa pentastellata sembra infatti non tanto di designare il candidato di una parte per una scelta che spetta al 'tutto' (il Parlamento in seduta comune integrato dai delegati regionali), ma di scegliere il 'vero' candidato dei 'cittadini', destinato a contrapporsi agli uomini della politica. Che poi alcuni dei nomi che circolano come possibili candidati grillini siano antichi navigatori delle istituzioni (e dei vituperati partiti) poco importa: la coerenza è un lusso che i rivoluzionari non possono permettersi.
Ma oltre alla pretesa olistico­totalitaria dei pentastellati (di essere il 'tutto', di abbattere la democrazia dei partiti e, forse, di screditare ab origine il Presidente che questi sceglieranno), c’è da chiedersi quale sarà l’impatto sistemico di questa iniziativa. Si tratterà solo di un precedente eccentrico, destinato a rimanere isolato? O siamo davanti a un’altra spinta verso l’ulteriore presidenzializzazione del sistema costituzionale italiano? Quale presidente di garanzia sarebbe possibile se tutti i partiti arrivassero al 'conclave' repubblicano con un nome 'unto' da qualche tipo di legittimazione popolare? Quale compromesso – su questo come su altri temi (si ricordi la lezione kelseniana secondo cui la democrazia è il regime del compromesso fra i partiti) – sarebbe ancora possibile se questo tipo di cultura politica diventasse egemone?
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