Un'occasione per offrire idee e obiettivi al Paese
domenica 14 giugno 2020

Caro direttore,

a diversi livelli la società italiana si sta interrogando sul proprio futuro, a partire dalla constatazione degli immensi guasti che la pandemia in corso ha provocato. Preoccupazione del governo, in questa stagione di parziale ripresa, è evitare che la crisi si trasformi in dramma. Né è sorprendente che sia l’attualità, e l’insieme di scelte non rinviabili, da attuare con urgenza, a dominare il campo. Si comincia ad avvertire, per altro, anche il problema di guardare oltre e di preparare il Paese a un futuro che – lo dicono tutti gli esperti – non sarà più quello di prima. È a questo riguardo che si pone il problema della presenza dei cattolici in una stagione assai difficile e in presenza di una crisi che, per essere avviata a soluzione, esigerà concordia nazionale, saggezza politica, forte impegno di tutte le realtà sociali. È necessario, in questa prospettiva, domandarsi se i cattolici in quanto tali – o, puramente e semplicemente, la stessa Chiesa italiana – non abbiano la responsabilità e il dovere di esprimere il proprio parere, e di dare il proprio contributo, alla ricostruzione che si impone: per quali vie, con quale efficacia, con quali strumenti. Dire 'Chiesa italiana' può far pensare, e non pochi osservatori, che si faccia riferimento alla sola Conferenza episcopale. Ed in effetti nessuno si dovrebbe scandalizzare se essa predisponesse nel prossimo autunno uno specifico documento sulla ricostruzione, esprimendo la sua piena solidarietà a un Paese travagliato da mille problemi e anche facendo specifiche proposte in ordine all’uno o all’altro tema. Anche i vescovi sono cittadini...

A nostro modesto avviso, tuttavia, sarebbe più efficace, ed avrebbe maggiore autorevolezza, una presa di posizione che fosse il frutto di una riflessione complessiva di tutta la Chiesa italiana, e non solo dei vescovi. Perché, dunque, non ipotizzare – visto che la serie decennale dei convegni nazionali, dopo Firenze 2015, slitterebbe al lontano 2025 – un convegno ecclesiale di autunno che, a tutto campo e a tutti i livelli, si esprima sulle future vie che l’Italia dovrà intraprendere per uscire dalla crisi? Si tratterebbe di un forum al quale invitare – in ipotesi a cura del Comitato permanente delle Settimanali sociali – qualificati esponenti della cattolicità italiana: politici e amministratori, dirigenti industriali e organizzatori sindacali, esponenti dell’associazionismo ed esperti nelle varie discipline, chiamati ad un diretto confronto che potrebbe e forse dovrebbe concludersi, dopo adeguata verifica del lavoro compiuto e a opera di un ristretto Gruppo di esperti con un vero e proprio manifesto per il Paese. Non vi è dubbio che una simile iniziativa – chiaramente voluta dall’Episcopato ma fatta propria ed animata dal laicato – potrebbe non piacere ad alcuni, sino a essere indicata come un’indebita 'intromissione' della Chiesa nella vita dell’Italia. Ma si può ragionevolmente impedire ai cattolici italiani (indipendentemente dalle indicazioni che proverranno da quanti, fra essi, sono direttamente impegnati in politica) di esprimere il loro pensiero? E si può immaginare che possano non contribuire al dibattito sul futuro il Paese, vista la tragica e impegnativa stagione che esso sta vivendo? Si tratterebbe di doverosa presenza in un momento cruciale della vita nazionale.

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