martedì 22 ottobre 2013
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Nella tarda mattinata o al massimo nel primo pomeriggio di oggi, all’interno del grande e luminoso edificio dell’Allée du Printemps, sede del Parlamento europeo di Strasburgo, qualche minuto dopo aver esaminato una relazione sui «contingenti tariffari per il vino» e una raccomandazione sull’«assistenza macro-finanziaria alla Repubblica del Kirghisistan», gli eurodeputati dei 27 Paesi dell’Unione si pronunceranno su un documento che, quasi di sfuggita ma in termini molto espliciti, per la prima volta inserisce l’aborto fra i diritti umani fondamentali. Sì, proprio quei diritti, per intenderci, contenuti nella Dichiarazione universale delle Nazioni Unite firmata a Parigi 65 anni fa, il cui terzo articolo stabilisce che «ogni individuo ha diritto alla vita».Sia detto subito per chiarezza che, in caso di approvazione, molto probabile visti gli orientamenti già espressi in sede di esame preliminare in commissione, quel documento non avrà nessuna forza cogente e non implicherà, per i singoli Parlamenti nazionali, nessun obbligo di adeguamento o di correzione alle proprie normative interne. Resterà sancito, tuttavia, un vulnus implicito a una delle regole che, in base al principio di sussidiarietà, hanno finora disciplinato questa materia all’interno dell’Unione, riservando alla stretta competenza degli Stati membri una materia dalle delicatissime implicazioni etiche, sociali e culturali, come appunto è l’interruzione della gravidanza.

Chi conosce la complessa architettura e la tortuosità lessicale dei testi che giungono al voto del maxi-emiciclo alsaziano, a volte tali da far rimpiangere perfino il "giuridichese" di casa nostra, non si sorprenderà se immaginiamo che una cospicua fetta degli eletti chiamati oggi a esprimersi, forse non sarà neppure perfettamente al corrente di quanto approverà o respingerà. È facile anzi che farà premio, sulla perfetta conoscenza della materia e delle stesse regole comunitarie, l’ossequio ai più vieti stereotipi diffusi dalle lobby abortiste internazionali.

Sono gli stessi stereotipi che, probabilmente non a caso, vengono frettolosamente rispolverati nell’aula dell’Europarlamento, a dieci giorni dalla scadenza del termine per aderire alla petizione europea "Uno di noi". Ci riferiamo all’iniziativa che, in questi ultimi mesi, ha raccolto l’adesione, non di una ristretta cerchia di sostenitori di pseudo-diritti – in realtà lesivi della più genuina dignità dell’uomo – ma, sin qui, di oltre un milione e 300mila cittadini-elettori, per ottenere il riconoscimento giuridico dell’embrione. Un riconoscimento doveroso, anche alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia europea, che ha attribuito a ogni concepito lo statuto di «persona», come tale mai assimilabile a un qualsiasi «prodotto».

Ma se davvero siamo di fronte a un tentativo di "diffida preventiva", a un invito obliquo a non prendere troppo in considerazione i contenuti della campagna per la vita umana, allora forse i promotori della risoluzione potrebbero aver sbagliato i loro conti. Dal punto di vista simbolico e, ci sembra di poter dire, anche da quello della valenza democratica, non sarà certo il voto odierno a poter intaccare lo spessore raggiunto dalla campagna promossa da movimenti di cittadini di tanti Paesi europei. Il significato della mobilitazione popolare simultanea, ormai vicina alla conclusione fissata per il 1° novembre prossimo, rimane integro, qualunque sarà l’accoglienza che le istituzioni comunitarie vorranno riservarle.

Semmai c’è da augurarsi che, in queste ore e nei prossimi giorni, l’azione di palazzo in atto a Strasburgo inneschi un supplemento finale di impegno delle basi associative nazionali, che riesca a dare ulteriore consistenza numerica al risultato già acquisito. E non sarebbe neppure male se, in un sussulto di consapevolezza, anche tanti parlamentari che si richiamano ai valori umani posti alla base dell’edificio europeo, si rimettano in sintonia con chi ha contribuito a eleggerli.

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