lunedì 16 settembre 2013
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Gentile direttore,
le scrivo in un giorno di quelli che portano a scrutarsi dentro e ad assaporare più che mai il gusto intenso e unico della vita. Proprio in uno di questi giorni, chissà per quale imponderabile arcano, il vivo ricordo del mio babbo (è inutile… noi toscani non ce la faremo mai a chiamarlo papà!), volato in cielo cinque mesi fa, è tornato a essere addirittura più forte di quanto non lo sia già ogni giorno. Un uomo profondamente buono che mi ha insegnato la mitezza, la carità senza proclami, la straordinaria bellezza della famiglia, la capacità di ascoltare e una lunga serie di altri valori che difficilmente si riesce a far propri senza che la Grazia divina si faccia presente attraverso la compagnia, l’affetto e la relazione con certe persone. Negli ultimi tempi la sua permanenza in ospedale si era fatta più assidua ma, nonostante il quadro clinico compromesso, aveva e trasmetteva speranza, in un modo, oserei dire, commovente.
Quale può mai essere la ragione per voler scientemente minare la speranza di un uomo così? E, anche se qualcuno avesse una ragione, potrebbe mai essere, questo qualcuno, uno di quelli che si trovano lì proprio per contribuire alla sua guarigione? L’infermiera che porge la pastiglia da inghiottire non dovrebbe accompagnare questo gesto con un «Vedrà che con questa starà meglio», anziché con un irritante e blasfemo «Il corpo di Cristo»? Questo è accaduto. E alle rimostranze di mia mamma per questa oscenità, la signora infermiera, che probabilmente del libro "amore per il prossimo" non ha letto diversi capitoli, ha risposto «Signora, ma che crede? Di là non c’è mica niente!». Per scalfire la fede mia e dei miei genitori non basta certo il commento di un’infermiera maleducata e aggressiva ma, mi chiedo, quando ci si renderà conto che "umanizzare" gli ambienti ospedalieri non significa soltanto cercare le terapie mediche migliori arrecando la minore sofferenza possibile ma anche (e soprattutto) umanizzare chi ci lavora? Grazie, direttore, per avermi dedicato qualche minuto: io e il mio babbo la ringraziamo di cuore!
Gianluca Pasquinucci, San Miniato (Pi)
Povera donna, quell’infermiera. E fortunato lei caro amico, ad avere avuto – come tanti di noi – l’esempio di un padre così e di una madre capace di reagire con misura e senza rassegnazione agli insulti contro fede, ragione e cuore. Questa piccola storia storta che arriva da un angolo della Toscana più bella, dice soprattutto di quanto abbiamo da fare (e da ricominciare) per non perdere le nostre attitudini umane migliori, il rispetto per ciò che nella vita delle persone e del mondo è sacro e, persino, il semplice rispetto di noi stessi. Sono contento che lei abbia saputo far diventare quel grossolano gesto anti-cristiano e le sue intenzioni cattive, motivo di pensieri alti e di conclusioni serene e forti. E sono contento che abbia condiviso tutto questo con me e con gli altri amici lettori. Lasci perciò che sia io a ringraziare: lei per questo "raccolto" comunque buono e utile che sa fare e condividere; e lui, il suo babbo, per ciò che ha seminato tanto e bene. 
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