mercoledì 20 febbraio 2013
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Forse nemmeno i pellegrini che domenica si sono ritrovati sotto la finestra del Papa per ascoltare l’Angelus si immaginavano che sarebbero stati in tanti. E invece mentre già i fedeli di Roma avevano cominciato a colmare la piazza, dal fondo di via Conciliazione alle undici e mezza arrivavano, stanchi da un viaggio iniziato all’alba, i lombardi, e gente da più lontano. E a mezzogiorno dentro al colonnato affollatissimo ci si guardava, fra noi, contenti, e con un sommesso stupore: non era, leggendo i giornali, così prevedibile di essere in tanti, nella prima domenica dopo la rinuncia di Benedetto XVI.Molti media in questi giorni traboccano di congetture, voci, e ombre di ipotetiche trame dietro alla scelta del Papa, e quasi con compiacimento sembrano intravedere in quel gesto il segno di un «declino» della Chiesa stessa. Ma il fatto è che la Chiesa è anche, e prima di tutto, il suo popolo, il popolo di quanti credono in Cristo risorto; e questo universo, spesso scarsamente conosciuto e raccontato, non sottostà al governo dei media, non segue la linea dettata, magari, da "grandi firme".Così inaspettatamente una domenica di febbraio, sei giorni dopo un annuncio che pure ha sbalordito e addolorato, in san Pietro ci si ritrova in una moltitudine. Senza troppi cartelli, con rare bandiere: zitti, in molti con i bambini per mano, sotto a quella finestra, ad aspettare. E passa tra la folla un giovane cronista di un quotidiano. Intervista un signore sui cinquanta: "E Vatileaks? E, secondo lei, il Papa perché si è dimesso, davvero?". Il cronista è gentile e insistente, ma l’intervistato non gli concede proprio niente: "Di Vatileaks, risponde sereno, non me ne importa nulla, io sono venuto per il Papa".Già, noi siamo venuti per un Papa al quale siamo grati di otto anni di un magistero luminoso e limpido, tanto quanto sono spesso arruffate, sovrabbondanti e inutili le parole che sommergono le nostre giornate. Siamo venuti dentro un affetto, e un bene tanto grande che non vacilla nemmeno davanti a una rinuncia impensabile. Noi, semplici fedeli, non sappiamo, magari non capiamo affatto perché Benedetto XVI lasci il soglio pontificio. Ma, certi come siamo del bene che vuole alla Chiesa, non dubitiamo.Poi, nelle parole di quest’uomo abbiamo sentito l’altro giorno l’incrinatura della stanchezza e della vecchiaia: ed è stato come quando, sentendo magari da lontano, al telefono, un padre anziano, avvertiamo una nota che prima non c’era, e allora partiamo e andiamo a trovarlo, a abbracciarlo di persona. E questo è esser figli; e tanti figli assieme formano appunto il popolo che domenica si è ritrovato in San Pietro. Ma è la stessa umanità che sere fa ha gremito il Duomo di Milano nell’anniversario della morte di don Luigi Giussani, e con il cardinale Scola ha pregato per il Papa. Era talmente pieno, il Duomo, che alcuni delle decine di sacerdoti che davano la Comunione hanno dovuto spezzare le ostie consacrate e darne a ciascuno un piccolo frammento, perché non erano abbastanza. C’erano vecchi, e madri con i bambini, e tanti ragazzi giovanissimi: anche in Duomo, un popolo.Popolo senza bandiere né slogan da gridare, gente che non rivendica, non accusa, non denuncia. Gente che si sa profondamente "figlia": di Cristo, e quindi anche del suo vicario terreno. E dunque, in un frangente di dolore, altro non fa, con semplicità, che muoversi, e stringersi in un abbraccio. "Ma, e perché, veramente, questa rinuncia? Ma, davvero, cosa c’è sotto?", insistono i giornalisti, e li vedi un po’ disorientati. Già, il popolo di San Pietro vive dentro a coordinate diverse da quelle dettate dal pensiero dominante; dentro a una fiducia, dentro a un orizzonte certo e buono, là dove i maîtres à penser indicano solo un niente. E dunque questo popolo spiazza chi si ostina a cercare di leggerlo solo con categorie sociologiche o politiche. Restano a mezz’aria i microfoni protesi. "Vatileaks?". "Non me ne importa niente, sono venuto perché voglio bene al Papa".
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