mercoledì 16 luglio 2014
​Reportage a un mese dalla visita di Papa Francesco (GUARDA I VIDEO DELL'INVIATO)
di Mimmo Muolo
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La strada che da Seul porta ai santuari di Mirinae, Haemi e Solmoe si lascia ben presto alle spalle i grattacieli della capitale e le scorrevoli autostrade verso sud per riguadagnare i panorami della vecchia Corea. Colline folte di alberi che riportano alla mente le scene di un film cult degli anni 60, Mash, sulla guerra con il Nord. E poi risaie e fattorie, serre e mandrie di buoi. Tradizione contro innovazione. La storia che si prende la sua rivincita sull’elettronica e i motori, attuali punti di forza dell’economia nazionale. O almeno così sembra. In realtà, non ci sono luoghi più 'moderni' di questi santuari che punteggiano la campagna, ognuno legato a un evento particolare. Persecuzioni (quattro quelle principali nel 1801, nel 1839, nel 1846 e nel 1866), martirio e morte. Diecimila, secondo le stime, è il numero dei cattolici assassinati con raffinata ferocia e non, di rado, persino sepolti vivi. Ma in fondo la Corea attuale, quella che si protende verso il futuro con la sua sete di innovazioni tecnologiche, è nata qui. E precisamente quando la tradizione confuciana, basata sulla rigida distinzione tra le classi sociali e il rifiuto di tutto ciò che veniva dall’estero, si è scontrata con il nuovo credo che al contrario predicava amore, uguaglianza, apertura all’universale. Così in questa piccola appendice geografica del gigante asiatico il sangue dei martiri non solo è stato seme di nuovi cristiani, ma anche la base di una radicale trasformazione della società. E si comprende dunque perché il Papa abbia individuato il Paese come sua porta di ingresso nel continente più popolato e meno cristiano del mondo. Tra un mese Francesco verrà qui (dal 14 al 18 agosto) per una triplice missione. Rendere omaggio ai martiri coreani, beatificandone 124, che si andranno aggiungere ai 103 canonizzati da Giovanni Paolo II nel 1984, anno del suo primo viaggio a Seul. Incontrare i giovani asiatici e ad aprire di fatto una nuova stagione di annuncio del Vangelo in Asia. E naturalmente parlare di pace, dato che la lunga cicatrice della frontiera con la Corea del Nord sul 38° parallelo parla di una ferita mai veramente chiusa, dopo la guerra del 1950-1953. La strada che Francesco farà intercetterà alcuni dei santuari principali. Ma soprattutto riaccenderà le luci su una Chiesa e su un Paese che aspettano il Pontefice per un rilancio. Le ragioni sono diverse. La Chiesa infatti ricorda bene l’effetto delle due visite di Giovanni Paolo II (1984 e 1989). I cattolici coreani erano poco più di 10mila all’inizio del XX secolo. Erano diventati 2 milioni e mezzo al tempo del primo viaggio di Papa Wojtyla e oggi sono 5 milioni e mezzo, cioè il 10 per cento della popolazione che in maggioranza si professa atea (45 per cento) e per il resto è divisa tra protestanti e buddisti (22 per cento ciascuno). Ma mentre gli altri gruppi religiosi sono numericamente fermi, quando non addirittura in calo, le diocesi coreane continuano a crescere, anche se non ai ritmi vertiginosi del recente passato.  Nel 2013 i battezzati sono stati quasi 119mila, con un calo del 10 per cento rispetto all’anno precedente. In aumento invece le ordinazioni sacerdotali (117, più 2,6 per cento), cosicché i sacerdoti sono oggi 4901 (tra i quali due cardinali e 36 vescovi), 1564 i religiosi e 10173 le suore. Ma anche il Paese conta su un 'effetto Papa Francesco' per ripartire. Di certo il suo arrivo sarà una vetrina straordinaria per un’economia che cresce attualmente a un ritmo del 2-3 per cento annuo (performance che per l’Italia sarebbe un sogno), ma che qui giudicano insufficiente, specie in confronto ai tassi di crescita a due cifre che avevano fatto della Corea una delle 'tigri' economiche asiatiche. Con l’aggravante che il won (la moneta locale) sempre più forte non favorisce le esportazioni. In realtà, al di là dei numeri, non è tutto oro quel che luccica. La crescita chiede tributi sociali ed esistenziali molto salati, dato che alla fine è frutto di un’autentica 'religione' del lavoro, una specie di febbre che investe in pieno soprattutto i giovani, educati fin da piccoli a una mentalità competitiva senza sconti, che costringe a primeggiare nella scuola (qui, tra attività curriculari e non, i ragazzi escono di casa alle sette e non vi ritornano prima delle 22) come nel lavoro.  Naturalmente a scapito della solidarietà e di altri valori base del vivere civile. Si deve studiare e lavorare tanto, perché una buona università costa più di seimila euro all’anno (lo stipendio medio è attorno ai 1500 euro), perché bisogna andare all’estero a rifinire l’inglese, perché le grandi aziende (Lg, Samsung, Hyunday, Kia) assumono solo i migliori e perché la piccola e media industria paga sensibilmente di meno. «Per noi giovani – afferma Jimin Hwang, 26 anni interprete – il lavoro c’è sempre. Ma la vera aspirazione è essere assunti dalle grandi aziende».  Non stupisce dunque che il tasso di natalità sia diminuito a 1,2 figli per coppia («I figli costano», sottolinea padre Paul Lee Yong Ho, rettore del santuario di Solmoe) e che una delle economie più sviluppate al mondo non riesca sempre a mascherare le sacche di povertà di cui si occupa ad esempio l’organizzazione Kkottongnae che il Papa visiterà il 16 agosto e che raccoglie dalla strada centinaia di barboni malati ogni anno, per curarli e ridare loro la dignità persa a causa della povertà e dell’abbandono. Alla fine, proprio il terreno della solidarietà potrebbe essere decisivo per il futuro della Chiesa coreana e per la sua sempre maggiore incisività nella vita del Paese. «La carità evangelizza più di mille prediche», afferma il vescovo di Daejeon, monsignor Lazzaro You Heunk Sik. «E i giovani – aggiunge Susanna Yu, 30 anni, catechista presso il santuario dei martiri di Jeoldusan, alle porte di Seul – sono attratti dalla testimonianza della carità». Le statistiche dicono infatti che le conversioni al cattolicesimo sono originate soprattutto dalle opere della Chiesa. Mense, orfanotrofi, ospedali aiuto ai senza tetto. Oltre che dalla trasparenza. Il rettore di Jeoldusan, padre Timoteo Jung, pubblica ogni anno in bacheca ammontare e destinazioni delle offerte raccolte nel santuario. «Tutti sanno che dei preti cattolici ci si può fidare», afferma.  L’esempio più eclatante è proprio Kkottongnae. Quattro centri in tutta la Corea, 2000 assistiti, 500 dipendenti, una congregazione maschile e femminile con 80 sacerdoti e 250 suore. E poi ospedali, strutture di accoglienza, centri per minori e malati mentali. E sostegno alle missioni. Il tutto sostenuto da un milione di donatori che raccolgono 5,5 milioni di euro all’anno. La strada che porta a questo 'santuario' della carità non è lontana da quelle che da Seul si diramano verso Haemi, Solmoe, Mirinae. L’innovazione innescata dai martiri è diventata vita di tutti i giorni. Per una Corea nuova che non vuole vivere di sola tecnologia.
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