giovedì 17 ottobre 2013
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Caro direttore,
tra i poveri naufraghi di questo triste tempo italiano, vorrei si mettesse pure mia figlia, gettata a mare da un mondo cinico e spietato. Mia figlia lavorava per una ditta importante e – così sembrava – seria. Lodi e conferme per un ruolo ricoperto in modo affidabile e da tutti concordemente ammirato. A un certo momento, mia figlia onestamente comunica che si sposa. La ditta decide di chiudere il contratto pochi giorni prima del matrimonio, per non pagarle la licenza matrimoniale. Poi invia un vaso elegante, in regalo, e una promessa: «Ti riassumiamo dopo il viaggio di nozze». Poi la fatidica domanda: «Mica farai un figlio!?!». Felicità, baci, invitati, sorrisi. Torna al lavoro, ed ecco… il naufragio. Comincia con la scoperta che si tratta soltanto di un contratto part time, tramite agenzia. E continua con la notizia che due persone la sostituiranno. A dicembre, scadrà il contratto. Punto. È il segnale chiaro della fine: matrimonio e figli sono un peso per la strategia aziendale. Ecco come in Italia si favoriscono i giovani, ecco come lo Stato aiuta chi si sposa e chi vuol fare figli. Anni di fatiche, laurea e studi, domande e speranze, dedizione e responsabilità. A mare, a mare. Ho pianto per mia figlia affogata da un sistema crudele.
Lettera firmata, Vicenza
Visto che me lo chiede, caro e gentile amico, proteggo l’anonimato suo e di sua figlia. E, da padre di due figlie, mi metto senza difficoltà nei suoi panni... Non posso fare molto di più, lo sa, ma posso tornare a sollevare il problema che lei indica con coivolgente amarezza e che sulle pagine di "Avvenire", in questi anni, abbiamo portato più e più volte in evidenza. C’è davvero una pesante e continua discriminazione che viene operata nel nostro Paese. Ma non è una di quelle di cui tanto di parla. È la incredibile discriminazione nei confronti delle persone che si sposano e mettono al mondo figli, ed è rivolta con particolare e inesorabile durezza contro le donne che sono spose e madri (o desiderose di diventarlo). La disattenzione della classe dirigente politica, sindacale, imprenditoriale (e anche dei mass media) è impressionante. E così il problema invece di risolversi si aggrava. Perciò, assieme a lei, caro amico, mi chiedo: c’è almeno un parlamentare, un sindacalista, un dirigente di Confindustria, disposto a non girare la testa e a battersi per cambiare finalmente le cose? 
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