giovedì 22 novembre 2012
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​Nel voto di "gradimento" al neo commissario Ue alla salute e alla tutela dei consumatori, il maltese Tonio Borg, che l’assemblea di Strasburgo ha espresso ieri con 386 sì e 281 no, le premesse per l’ennesimo schiaffo al più antico tra i princìpi cardine dell’edificio comunitario – quello della tolleranza per le idee altrui – c’erano tutte. A cominciare dal pregiudizio anti-cattolico, lo stesso che otto anni fa aveva causato la vergognosa bocciatura di Rocco Buttiglione (decretando quasi un diritto di eurocittadinanza "ridotto" o di serie B per chiunque professa i principi dell’etica cristiana: una macchia indelebile nella storia dell’Europa e della sua libertà). Ma erano in gioco anche pesanti condizionamenti politici, con il gruppone socialista deciso a non farsi scavalcare politicamente da Verdi e Sinistra unita. Eppure, alla fine, dallo scrutinio segreto è uscito un risultato sorprendente pulito, di segno largamente opposto rispetto alle previsioni, che dopo l’annuncio di voto contrario dell’eurogruppo del Pse davano il candidato maltese quasi per spacciato. E adesso appare francamente semplicistico e inadeguato spiegare il risultato di ieri con il prevalere di logiche da real-politik, che avrebbero spinto una fetta consistente dei deputati a ribaltare, protetti dall’anonimato, la direzione del pollice dal basso verso l’alto.Chi, nelle ore immediatamente precedenti la votazione, ha ascoltato le riflessioni private di diversi europarlamentari chiamati dai rispettivi gruppi a votare contro Borg, ne testimonia il disagio profondo, manifestato di fronte alla prospettiva di far saltare una candidatura professionalmente ineccepibile, per una sorta di partito preso ad alto tasso ideologico e con nessun fondamento giuridico. Tanto più che, dopo le audizioni preliminari nelle commissioni competenti, erano emersi con chiarezza sia la caratura del commissario designato dal governo di La Valletta sia il suo impegno assoluto a rispettare la Carta dei diritti Ue e a evitare nel suo futuro incarico qualunque discriminazione, pur ribadendo con nettezza le proprie convinzioni.Il fatto è che, per certe logiche del politicamente corretto e a senso unico, sempre più diffuse e alimentate da ben note correnti laiciste continentali, sembra diventato ormai quasi un dovere esercitare una vera e assidua discriminazione verso chi dichiara le proprie convinzioni religiose. Il tutto, senza neppure verificare sul campo se davvero quei princìpi fanno velo alla correttezza nell’azione politica e amministrativa. E questo, in Europa come altrove, si chiama solo in un modo: pregiudizio, odioso pregiudizio.Ecco perché la votazione di ieri mattina, nel cuore di un’Alsazia sempre capace di promuovere accoglienza e rispetto tra i popoli (parentesi belliche a parte, dovute a ben altre volontà di potere), potrebbe indicare un primo timido segnale di riflessione, se non di vera e propria resipiscenza, in una deriva apparentemente senza fine. Forse qualcuno comincia finalmente a chiedersi quanto sia "europeo" bollare a fuoco, in via preventiva, le idee che non coincidono con le proprie. Forse ci si comincia a interrogare sulla legittimità etica e anche solo politica di tante ripulse preconcette, che assomigliano sempre più alle idee nefaste di un passato non troppo lontano, origine di conflitti secolari, di sopraffazioni reciproche e infine di stragi efferate.È chiaro che altre conferme occorreranno prima di poter affermare che il clima europeo sta cambiando, che la fede – a cominciare da quella professata da tutti i padri fondatori dell’Unione – torna ad avere diritto pieno di cittadinanza a Bruxelles e dintorni. Ma intanto è doveroso apprezzare e salutare con soddisfazione questa manifestazione – possiamo dirlo? – di sana laicità dell’Europarlamento.
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