domenica 24 novembre 2013
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Sono molti i modi possibili per ri­flettere sull’articolo scritto dal no­to politologo Giovanni Sartori e pub­blicato ieri come fondo in prima pa­gina dal Corriere della Sera. Il tema degli «eccessi che la terra non sop­porta » e di «Una modernità fuori mi­sura », come recita il titolo, è un ar­gomento molto serio. Come sono questioni fondamentali le sfide po­ste – citiamo – da una crescita sen­za limiti, da uno sviluppo senza li­miti e persino da una popolazione senza limiti. Le soluzioni indicate da Sartori sono note perché ricorrenti: i problemi del­l’umanità (disoccupazione e debiti compresi) e le difficoltà climatiche del pianeta derivano dall’eccesso di popolazione, per tale ragione le na­scite andrebbero ridotte «special­mente in Africa», e se questo non av­viene «le maggiori responsabilità so­no della Chiesa Cattolica», per di più guidata da un Papa che abbraccia i poveri e i piccoli e viene dal Sud del mondo. Fin qui nulla di nuovo. E dunque, vo­lendo ribattere, si potrebbero ripor­tare ancora una volta pareri diversi di climatologi, esperti di demografia, e­conomisti. Si potrebbero intervistare antropologi, teologi, uomini di fede, persone impegnate negli aiuti uma­nitari, cooperatori internazionali, re­sponsabili di organizzazioni che o­perano per le popolazioni più pove­re. Si potrebbe anche intervistare un medico esperto di quella «demenza» di cui parla lo stesso Sartori. O sce­gliere il registro del paradosso e ri­spondere al collegamento tra l’ecces­so di popolazione in Africa e l’allu­vione in Sardegna, argomentando per assurdo che se la popolazione dell’I­sola scegliesse di non riprodursi più, presto non ci sarebbero nemmeno vittime di catastrofi da piangere. Una risposta completamente ironica o sarcastica non è mai da escludere. Poi, però, a un certo punto si legge u­na frase e non si riesce più ad andare avanti. Ci si ferma, e tutto quello che era venuto in mente prima crolla, di fronte alla sensazione che un limite invalicabile sia stato oltrepassato. «La nostra televisione – scrive Sartori – è inondata da appelli di soldi per sal­vare i bambini africani. A che pro?». Già: a che pro? Perché ci diamo da fa­re per aiutare i bambini che muoio­no? Perché lo facciamo, se poi le pro­spettive sono, leggiamo ancora, «piogge torrenziali in inverno e afa d’estate?». Perché ci ostiniamo a vo­ler salvare quei piccoli? La risposta, ancora una volta, potrebbe essere molto semplice: perché non sono la pietà, la solidarietà o la compassione le malattie che uccidono il pianeta e chi lo popola, ma l’utilitarismo, l’e­goismo, l’avidità. Cioè proprio quel quadro di 'valori' su cui si fonda il ragionamento proposto e che espri­me bene la cifra morale che a partire dall’Occidente rischia di condannare l’intero pianeta. In realtà non c’è una replica possibi­le. Noi non ci chiediamo angosciosa­mente perché mandiamo un’ambu­lanza ad aiutare un anziano che cade per strada, perché abbiamo salvato le persone dai campi di sterminio, per­ché ci diamo da fare per curare una donna malata di un brutto tumore o un uomo segnato dalla Sla, perché vorremmo poter salvare tutti i bam­bini che soffrono, in qualunque Pae­se essi siano nati. O meglio, certe do­mande ce le poniamo solo quando siamo sfidati dall’indifferenza dei molti e dei potenti, perché custodia­mo la certezza che sì, finché conti­nueremo a fare tutto questo l’uma­nità e la terra avranno un futuro. È nel momento in cui incominceremo a chiederci «a che pro?» che dovremo considerare di essere veramente a un passo dalla fine. ​
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