Trump e il suo staff: limite su limite
mercoledì 14 dicembre 2016

Uno staff che accentua, esaspera in taluni casi, i limiti di competenza e di 'saggezza' politica del Presidente, invece di attenuarli se non addirittura di porvi rimedio: è questo il principale difetto del 'gruppo di lavoro' completato ieri dal presidente eletto, Donald Trump, con l’annuncio del Ceo della Exxon-Mobil, Rex Tillerson, come futuro segretario di Stato. La scelta è stata motivata da Trump in base al fatto che «Rex conosce mezzo mondo».

E non c’è dubbio che il capo di una delle (ex) 'sette sorelle', ne deve conoscere di persone. Il punto però è chi sono quelli che conosce e perché. Tra i tanti spicca Vladimir Putin, presidente di quella Russia accusata apertamente dalla Cia di aver interferito con - e forse alterato - la campagna elettorale che ha portato Trump alla Casa Bianca. Il presidente eletto (che il 20 verrà designato dal Collegio dei grandi elettori e dovrà poi essere confermato dal voto del Congresso il 6 gennaio) era già ritenuto troppo 'vicino' a Vladimir Putin, al punto che da più parti erano tate sollevate perplessità sulla sua capacità di tenere a bada l’arrembante Russia di questi anni. Di sicuro la nomina di Tillerson non va nella direzione di 'compensare' una possibile 'debolezza' del profilo presidenziale. Anzi, la accentua. Oltre tutto, da Ceo della Exxon-Mobil, Tillerson avrà avuto non solo relazioni con i russi, ma anche con tanti leader del Medio Oriente, ovvero della regione il cui controllo proprio la Russia sta provando a contendere agli Stati Uniti. La sua nomina non solo rinfocola le polemiche sul conflitto di interessi che tra l’altro sono sempre assai vivaci anche rispetto al presidente e al suo impero, ma appare anche dal sapore antico.

Chissà se Tillerson, di fronte ai dubbi che saranno sollevati durante la sua audizione di conferma al Senato, risponderà parafrasando la battuta attribuita al segretario alla Difesa (e Ceo della General Motors) Charles Erwin Wilson, nominato dal presidente Eisenhower nel 1955: 'Ciò che è buono per la Exxon-Mobil è buono per gli Stati Uniti'… sessant’anni dopo, forse ci si poteva aspettare una scelta più avveduta. Tillerson va a completare una lunga lista di creazionisti (Ben Carson, segretario all’Edilizia Pubblica), militari asceti ( James Mattis, 'cane pazzo', segretario alla Difesa), suprematisti bianchi (Steve Bannon, consulente strategico), negazionisti del riscaldamento globale (Scott Pruitt, segretario alla Protezione Ambientale), battutisti dell’Alabama in odore di razzismo ( Jeff Sessions, ministro della Giustizia: 'Quelli del Ku-Klux-Klan? Inizialmente mi erano simpatici, poi ho scoperto che fumavano marjuana'), miliardari e top manager vari ( Wilbur Ross, segretario al Commercio, Steve Mnuchin, segretario al Tesoro, Betsy Da Vos, segretario all’Istruzione, Andrew Puzder, segretario al Lavoro).

Una squadra decisamente conservatrice, dunque e molto, molto lontana dal risultare credibile anche rispetto alle promesse che il candidato Trump aveva fatto alla sua base elettorale: la classe media e lavoratrice bianca, quel ' forgotten people' della globalizzazione, sensibile alla proposta populista di destra confezionata da 'the Donald'. È possibile che, di fronte a questi nomi, qualcuno inizi a ricredersi; ma oggi più che 'il mondo di Trump', quello che preoccupa è come si troverà 'il mondo con Trump'. E a tal proposito c’è ben poco da essere ottimisti. Soprattutto appare a rischio l’adesione degli Stati Uniti al Protocollo sulle emissioni ambientali, la cui firma a Parigi da parte del presidente Obama aveva trascinato quella cinese. Se Washington si sfilerà, non è difficile immaginare che anche Pechino la imiterà, segnando così forse l’unico caso di convergenza tra Usa e Cina: e per il peggio.

Altrettanto e sempre più periclitante si direbbe l’accordo sul nucleare iraniano al quale è contrario anche il neo direttore della Cia, Mike Pompeo: una scelta che avrebbe l’effetto di rilanciare la corsa agli armamenti non convenzionali in Medio Oriente e attestare l’irrilevanza e la reversibilità, senza alcun pretesto plausibile, di qualunque accordo solennemente sottoscritto, rafforzando così una prassi fin troppo abituale in quella tormentata regione.

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