giovedì 17 dicembre 2009
COMMENTA E CONDIVIDI
È tempo di disgelo in Myanmar? Siamo alla vigilia di cambiamenti importanti, preludio a una vera e propria svolta? Sono le domande che fatalmente suscitano gli ultimi eventi nell’ex Birmania. Va detto subito che se si considera l’interlocutore – la giunta militare che dal 1962 regge le sorti del Paese – la prudenza appare l’atteggiamento più saggio. Ciò non toglie che alcuni fatti sono oggettivamente interessanti e chiedono di essere interpretati.Cominciamo da quanto accaduto ieri: Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione birmana, ha potuto finalmente incontrare tre anziani funzionari del suo partito, quella Lega nazionale per la democrazia che stravinse le elezioni del 1990 (mai riconosciute dai militari). I tre, tutti ultraottantenni, sono fra i più anziani esponenti politici in attività al mondo, il che dà l’idea di quanto si sia incancrenita nel tempo la situazione politica birmana.Altro fatto. Qualche settimana fa, San Suu Kyi ha scritto al generale Than Shwee, l’uomo forte del governo, dichiarando la sua disponibilità a cooperare in vista delle elezioni. Comunque si giudichi il gesto (coraggioso o azzardato?), segna di fatto la ripresa di contatti bloccati da tempo.Ma se con la memoria torniamo indietro di qualche mese, dobbiamo pure ricordare che nell’estate scorsa si è svolto un viaggio in Myanmar di Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu; un viaggio, che, per quanto povero di risultati concreti, ha rappresentato il primo significativo incontro dopo anni di confronto duro. Sono seguite, nei mesi scorsi, alcune visite di diplomatici statunitensi, nonché la decisione del presidente americano Obama di partecipare al vertice dei Paesi dell’Asean al quale era presente anche il primo ministro birmano, Thein Sein. Quest’ultimo, si è recato, in autunno, all’Assemblea generale dell’Onu, per la prima volta dopo diversi anni.Ce n’è abbastanza per dire che qualcosa si muove? Sì. Ma non si possono trascurare incognite e problemi aperti. Se l’Unione Europea sta giocando un ruolo significativo nel processo che potrebbe condurre alla democratizzazione del Myanmar (ne parla anche l’onorevole Fassino, inviato della Ue, nell’intervista pubblicata a pagina 7), c’è da chiedersi quanto si stiano impegnando i Paesi asiatici, cominciando da Cina e India, che fin qui hanno dato la netta sensazione di muoversi nell’ambiguità. E ancora: l’Europa politica appoggia le sanzioni, ma alcune multinazionali occidentali continuano a fare affari tranquillamente col regime che la comunità internazionale (o almeno una parte di essa) cerca di isolare anche con quelle misure. Quanto potrà durare questa contraddizione?Tuttavia, il vero banco di prova della (presunta o meno) buona volontà dei generali riguarda Aung San Suu Kyi. Sarà ammessa o meno alle elezioni del 2010? E quanto saranno libere e democratiche? Secondo alcuni osservatori, il voto (in maggio?) verrà annunciato all’ultimo momento, per mettere in difficoltà il più possibile l’opposizione. «Sarà come disputare un combattimento di lotta libera in una gabbia chiusa», ha commentato amaramente Tint Swe, membro del governo birmano in esilio, su Asia News.In questo momento Aung San Suu Kyi si trova, per l’ennesima volta, agli arresti domiciliari. Ha fatto ricorso alla Corte Suprema contro la condanna e tra pochi giorni è prevista l’udienza. Ebbene, presto avremo un nuovo indizio significativo: se la giunta militare continuerà a tenere la "leader morale" del Myanamr (nel ’90 prese il 70% dei consensi) fuori dal gioco politico significa che i "segnali" di questi ultimi tempi erano solo specchietti per le allodole. In caso contrario, non si potrà cantar vittoria. Ma almeno continuare a sperare.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: