mercoledì 24 maggio 2017
Caro direttore conoscenti, non legati da un’amicizia vera, e accomunati da un’esperienza infelice...
Torniamo a insegnare quanto vale una vita
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Caro direttore
conoscenti, non legati da un’amicizia vera, e accomunati da un’esperienza infelice: l’abbandono della scuola in anticipo. Dietro l’omicidio di Matteo Barbalinardo, il ragazzo di 17 anni ucciso a coltellate a Matera da un suo coetaneo, si cela il disagio di una generazione, quella degli adolescenti, che oggi vive una fase di nuova e preoccupante escalation. La scala valoriale si è capovolta e la lite da cui è scaturita l’aggressione da parte del ragazzo omicida, secondo quanto ricostruito finora dagli inquirenti, è da ricondurre a pochi euro: un litigio per della droga finito male.

L’interrogativo è più che immediato: quanto vale una vita oggi nell’era del cyber dilagante, delle nuove droghe che creano dipendenza, alienazione e morte, ma anche dello spaesamento che vivono le agenzie educative tradizionali, dalla scuola alla famiglia, nell’affrontare le sfide dell’oggi? Pochi euro. La risposta, sommessa, arriva da questa vicenda, che purtroppo non è l’unica a puntellare oggi il disagio adolescenziale e l’assenza di coesione sociale. Sul fenomeno del 'Blue Whale challenge', il gioco di ruolo che coinvolge i ragazzi in 50 prove di 'coraggio' in 50 giorni, l’ultima delle quali è togliersi la vita, indaga la polizia italiana e c’è più di un indizio che confermerebbe la veridicità di un dramma nel dramma. Un altro indizio di un malessere dilagante. La storia di Matteo è una storia di solitudine e, allo stesso tempo, di incapacità di accorgersi che un suo coetaneo potesse pensare che la sua vita potesse valere qualche euro.

Dove sono le famiglie di questi ragazzi? Perché gli adulti sono assenti, distratti, smarriti, incapaci di interpretare il turbamento dei propri figli? Non sono quesiti accusatori perché a questa storia non bisogna guardare con gli occhi macchiati di rabbia e alla ricerca del capro espiatorio. Questa storia racconta il dramma di una generazione, quella degli adolescenti, ma anche e forse soprattutto il fallimento della generazione di quei padri e di quelle madri che oggi non trovano il modo per parlare con i propri figli, per confrontarsi, per educarli, per trasmettere regole e valori.

Ma per fare questo occorre avere tempo e volontà di affrontare conflitti, discussioni, confronti difficili e scomodi. Lasciar perdere non significa educare. Spesso si apre la porta allo sbandamento di chi non sa quale direzione imboccare. E i genitori la direzione devono indicarla. L’adolescenza è per definizione l’età della ribellione, ma la società post moderna nella quale viviamo ha amplificato i pericoli che i giovani d’oggi vivono. Soli e solitari. Persi ore e ore dentro uno smartphone. Sempre connessi eppure in preda a emozioni eccessive, distorte. L’età adolescenziale di oggi non è quella di vent’anni fa.

Non è nemmeno più quella di dieci anni fa. Ecco perché ritornare a parlare di coesione sociale, oggi, è un imperativo che coinvolge tutti: scuola, famiglia, mondo dello sport, Chiesa, e più in generale tutte le agenzie educative. Perché di fronte a questa escalation di violenza e di solitudine occorre agire. Anche per onorare la memoria di Matteo e nessuno debba più perdere la propria vita per pochi soldi.

*Pedagogista, deputata e responsabile nazionale per l’infanzia e l’adolescenza del Pd

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