martedì 19 luglio 2016
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​Gentile direttore,
il voto inglese per la Brexit ha scatenato una fibrillazione a tanti livelli. Da ogni parte si invoca una rifondazione dell’Europa; lei stesso, direttore, parla di una auspicabile «rivoluzione», cioè di un «ricominciamento» dei valori che hanno animato gli ispiratori del sogno europeo. Ma come potranno riuscirci i politici europei, piccoli e grandi (o che tali si ritengono) se ormai la globalizzazione finanziaria li ha resi come chierichetti all’altare del dio profitto? Globalizzazione che appunto non riguarda solo l’Europa, ma ha convertito alla finanza speculativa il mondo intero, sta cannibalizzando l’economia reale e punta a mercantilizzare ogni relazione umana. Ci vuole proprio più che un supplemento d’anima e grandissima buona volontà per rimettere le cose al loro posto e far sì che la politica riprenda in mano le redini del bene comune. È solo un sogno?
Luigi Di Marco - San Giovanni al Natisone (Ud)

 

Se fossi convinto che una politica all’altezza della sfida del «bene comune» è solo un sogno, mi sarei iscritto come tanti – troppi – dei nostri concittadini italiani ed europei al partito del non-voto o dell’antipolitica. Penso – e mi ostino a sperare e volere – l’esatto contrario. Proprio come lei, gentile signor Di Marco, se intendo bene il suo tono e la sua domanda finale. Certo, vedo anch’io convinto che i devoti del «dio denaro» hanno preso molta forza. Lei ha ragione, agiscono da veri «cannibali» in un "mercato" sempre più avanzato e inselvatichito, nel quale tutto si fa a pezzi, a tutto è dato un prezzo e tutto si pretende di sbattere sui banconi del commercio e dell’azzardo: anche i corpi delle donne e degli uomini, anche i figli, persino la libertà, la dignità e la storia di intere comunità e di interi popoli. Ma tutti costoro non hanno già vinto e io sono e resto convinto che, comunque, non potranno vincere. E non lo affermo da avversario dell’economia di mercato, ma da tenace sostenitore di un altro mercato: sociale, civile, a misura di persona e di persone. Lo dico da appassionato della prospettiva indicata in modo limpido e incisivo, quasi cinquant’anni fa, nel 1967, da Paolo VI nella Populorum progressio e, prima e dopo, dal magistero della Chiesa, da Leone XIII a Francesco che con coinvolgente efficacia sta parlando agli uomini e alle donne del nostro tempo. Cito un passaggio in particolare (§ 59-61) dell’Enciclica montiniana: «Una economia di scambio non può più poggiare esclusivamente sulla legge della libera concorrenza, anch’essa troppo spesso generatrice di dittatura economica. La libertà degli scambi non è equa se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale. (...) Non è lecito usare in questo campo due pesi e due misure. (...) Non che si debba o voglia prospettare l’abolizione del mercato basato sulla concorrenza: si vuol soltanto dire che occorre però mantenerlo dentro limiti che lo rendano giusto e morale, e dunque umano». Questo è il mercato di cui abbiamo bisogno, una dimensione della vita, delle attività e delle relazioni umane che non specula su e contro le persone, ma contribuisce a renderne migliore l’esistenza coniugando libertà e responsabilità. Un mercato che sia espressione di un’economia civile, ovvero libera ma responsabile. Non è un sogno è un obiettivo concreto, gentile amico lettore, per il quale vale la pena di impegnarsi, anzi come dice il nostro Papa «immischiarsi» con impegno generoso, competente e trasparente. Non solo in politica, ma anche in politica. Non solo in Italia, ma anche in Europa.

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