domenica 18 ottobre 2009
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Ci sono almeno due cose che chi scrive sui giornali non dovrebbe fare mai: rinunciare a informarsi bene prima di commentare un evento e speculare su una tragedia. Ieri, sul "Giornale" Renato Farina ha commesso tutti e due questi errori. E la nobiltà di fondo del tema da lui scelto – l’indifferenza di troppi occidentali e della stampa italiana davanti al martirio dei cristiani in tante parti del mondo – non giustifica né l’uno né l’altro. Anche perché l’articolista-deputato ha ritenuto di buttarla in politica (interna) e, in modo assolutamente improprio oltre che con incredibile e ingiustificabile acrimonia, ha preso di mira i vescovi italiani e, in particolare, il segretario generale della Cei.La questione che si pone ha almeno due profili. Il primo è generale: si conferma purtroppo la tendenza apparentemente irrefrenabile di certa stampa (italiana, ma non solo) di non verificare alcuni fatti emblematici sui quali decide di "informare" i lettori e la propensione a usarli solo per l’interesse che possono suscitare o, peggio, servire. E questo – continueremo a sottolinearlo ogni volta che sarà necessario – dimostra quanto il tema della libertà di stampa sia ormai indistinguibile da quello della responsabilità dei giornali (e di chi li fa) verso la verità e verso i lettori.Il secondo profilo della questione è più specifico: Farina s’indigna affermando che l’eccidio dei sette sudsudanesi – risalente al 13 agosto – è diventato notizia affacciandosi «finalmente in prima pagina» solo il 16 ottobre. Sbagliato. Su Avvenire – come spesso accade a proposito di vicende e sofferenze del Sud del mondo che sembrano interessare solo il quotidiano dei cattolici italiani – c’era invece già il 6 ottobre, quando abbiamo dato conto di questa ennesima strage in prima pagina (e in un intero «primo piano» interno), collegandola alle notizie sull’apertura del Sinodo per l’Africa. Ed è proprio nella speciale assemblea del Sinodo dei vescovi convocata dal Papa che, dieci giorni dopo, si è di nuovo parlato del massacro di Ezo e dei tanti altri che lo hanno preceduto. Noi di Avvenire lo avevamo, dunque, già fatto, dopo aver verificato con scrupolo che cosa fosse realmente accaduto in un’area dalla quale è difficile avere informazioni e alla quale (su questo Farina ha del tutto ragione) i mass media riservano pochissima attenzione. Ebbene, in quella tragica occasione i responsabili della feroce esecuzione dei sette cattolici africani non furono spietati gruppi di miliziani islamici nordsudanesi, ma predoni ugandesi del Lra, il famigerato movimento-setta di Joseph Kony. E il 16 agosto, tre giorni dopo le crocifissioni di Ezo, come oggi è in grado di testimoniare sulle nostre pagine il vescovo di Tombura-Yambio, altri sei cattolici sono stati massacrati nella stessa zona e nello stesso modo. Il sangue di quegli inchiodati a morte pesa gravemente sulle coscienze distratte del mondo esattamente come quello versato, in altri momenti e villaggi, per opera di fanatici musulmani.Grave in modo diverso, ma non sottovalutabile, è che si prenda spunto da una tale tragedia per inscenare una iratissima predica politica, rivolgendo addirittura ridicole accuse d’indifferenza per le sofferenze dei fratelli di fede ai nostri vescovi e scagliandosi con inqualificabile sarcasmo contro monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (pretendendo per sovrappiù di ridurre il suo magistero di successore degli Apostoli a una sola omelia).L’ira acceca. Induce a utilizzare informazioni in parte o del tutto scorrette, a sferrare attacchi personali deformando il profilo degli "avversari" prescelti e a improvvisare giudizi senza fondamento (come quelli forniti anche ieri ai lettori del "Giornale"). Spinge ad ascoltare solo se stessi e a fare delle miserie di casa propria il metro di tutto. L’ira – scopriamo ora – può stravolgere e travolgere persino lo slancio fraterno di chi sta scrivendo di vite straziate e di martirio. Ma come si fa a non udire la preghiera che le comunità cristiane, insieme ai loro pastori, levano a Dio per quanti portano la croce e muoiono a causa di Cristo? E come si fa a ignorare i concreti gesti d’amore che la Chiesa italiana, sorella alle altre Chiese nella Chiesa universale, qui e ovunque sulla faccia della terra, compie ogni giorno nei confronti dei fratelli perseguitati e di ogni altro "ultimo" agli occhi al mondo?C’è, però, un punto che l’onorevole Farina riesce ugualmente a individuare: troppi politici italiani non vedono e non capiscono ciò che i cristiani patiscono ancora e sempre a motivo della loro fede e della loro testimonianza. E a ragione avverte che non solo i politici, ma anche tanti tra i cronisti, gli intellettuali, gli stessi credenti non sanno aprire occhi e cuore. E allora lo diciamo sommessamente a lui e a noi tutti: cominciamo e ricominciamo a vedere davvero, e a capire.
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