Storia dello straniero senza nome gettato nel Naviglio con le sue rose
giovedì 16 luglio 2020

È una piccola storia. Un immigrato l’altra sera girava lungo la Darsena, luogo d’elezione della movida notturna milanese, con un mazzo di rose in mano. Sapete, quei fiorai ambulanti che entrano nei ristoranti e offrono rose, e quasi tutti rispondono no. Allora quelli se ne vanno e entrano in un altro locale, e in un altro ancora. Una fila di no, un euro a rosa. Poi si fa tardi, e gli ambulanti con le loro rose di nessuno se ne tornano a dormire in alloggi di fortuna, divisi con quattro o cinque compagni. Dunque, l’altra sera sulla Darsena c’era quest’uomo del Bangladesh, stanco di tanti passi inutili.

Era tardi, forse rincasava. Improvvisamente due giovani sui 25 anni, italiani, lo hanno aggredito e senza una ragione gettato nella Darsena. L’uomo ha preso a annaspare – chissà se imparano a nuotare, in Bangladesh. Grazie a Dio dei passanti lo hanno soccorso. Ma quando è arrivata la polizia lo straniero si è rifiutato di sporgere denuncia. (Meglio forse, per uno come lui, finire nel Naviglio che in commissariato, deve aver pensato). Nessuna denuncia, nessun reato. La polizia sta esaminando le telecamere della zona alla ricerca dei due eroi che, magari mezzi sbronzi o mezzi fatti, hanno individuato l’ultimo dei poveretti, e l’hanno scaraventato nell’acqua.

Per gioco. Tanto, a chi importa di un ambulante di colore? Lui stesso, come cosciente di valere un nulla, ancora gocciolante se n’è andato in fretta – clandestino, abituato a restare nel buio. La piccola storia non ha avuto un gran risalto mediatico. Se quei due avessero gettato nella Darsena un cane, gli amanti degli animali giustamente sarebbero insorti. Ma per lo sconosciuto del Bangladesh, no. Tanto non si è fatto niente, ci si è detti. Niente, è vero, a parte l’umiliazione subita da un uomo maturo che campa vendendo rose nei locali. E se ancora a 55 anni fa questo mestiere vuole dire probabilmente che ha a casa, lontano, una famiglia, dei figli. Quei pochi euro raccattati anche per la pietà di qualcuno, magari in Bangladesh bastano per mangiare. Forse un figlio per cui quell’uomo lavora sogna, addirittura, di poter studiare.

Per cui il lavoro di quel fioraio è vitale. E merita rispetto, e magari perfino un gesto di misericordia da un passante che lo guardi negli occhi, e gli domandi di dov’è, e gli regali una banconota da mandare ai figli: trafitto d’improvviso in quel punto del petto in cui si trova il cuore. I due giovani eroi nostrani invece cercavano una preda. Con istinto infallibile hanno individuato il più derelitto, l’ambulante col suo mazzo di fiori invenduti. E chissà come ridevano, appena dietro un angolo, nascosti. Probabile che abbiano anche raccontato l’impresa sui social, perché di queste cose non si ha nemmeno vergogna. Rattrista anche un po’ la scarsa eco sui media della vicenda. 'Vabbè, non s’è fatto niente', si saranno ripetuti in molti.

Eppure pensate a un uomo lontano migliaia di chilometri da casa, che vive di stenti e rientra avvilito, una notte: usato come un gioco per una serata vuota. L’avrà raccontato alla sua donna, se ne ha una, o se ne sarà vergognato? Non raccontare, non denunciare, restare nascosto: come uno che non deve esistere. Piccola faccenda ignobile a Milano, ai margini dell’esuberante movida del dopo Covid. In fondo, che è successo? Niente. Soltanto mi immagino sull’acqua della Darsena quelle rose non volute da nessuno che galleggiavano, ancora belle e vive. Minimo segno di una storia da niente. Una metropoli, ha ben altro a cui pensare. Peccato però non sapere il nome di quello straniero. A qualcuno fra noi, forse, sarebbe venuto in mente di andarlo ad abbracciare.

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