venerdì 20 settembre 2013
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​Le interviste rese in successione dal presidente siriano Assad e dal presidente iraniano Rohani e dalla Guida suprema Khamenei potranno anche far parte di un’offensiva mediatica a tutto campo, ma di sicuro concorrono ad abbassare la tensione nella regione e consentono di coltivare qualche speranza per un futuro meno cupo di quanto fosse ipotizzabile solo qualche giorno fa.Se cerchiamo di separare il contenuto più scopertamente propagandistico contenuto nelle risposte fornite dal presidente Bashar al-Assad alla "Fox News" dalle informazioni che il rais di Damasco ha voluto comunicare all’opinione pubblica americana, ne emerge un quadro di scaltro realismo, persino cinico, sotto molti aspetti, eppure promettente rispetto alla volontà del regime di ottemperare agli impegni fin qui assunti con la Russia di Putin. Alcuni osservatori – interessati soprattutto, a loro volta, a propagandare la linea della massima intransigenza verso la Siria di Assad – sottolineano, in queste ore, come questi abbia già iniziato a chiedere il raddoppio dei tempi necessari al disarmo e la questione della sostenibilità dei costi. Le prossime settimane ci diranno se Assad sta facendo melina, ma evitiamo di muovere accuse che ora suonerebbero sinistramente pretestuose. Piuttosto cerchiamo di non dimenticare che, accanto alla questione del disarmo chimico, la realtà della Siria è quella di un Paese ancora devastato da una guerra civile che non accenna a placarsi e tentiamo di fare sì che questo disarmo possa essere il primo passo verso un disarmo più generalizzato, verso la ricerca di quella "soluzione politica" alla crisi siriana che rappresenta la sola via di uscita possibile da un’ecatombe spaventosa.Alla buona notizia che giunge da Damasco si aggiungono quelle che arrivano da Teheran. Il nuovo presidente Rohani ha rivendicato la propria capacità decisionale sulla politica estera della Repubblica islamica e ha ribadito che «mai l’Iran svilupperà un’arma nucleare». Sono parole importanti che sembrano molto lontane nei toni e nelle sostanza da quelle cui il suo predecessore ci aveva abituati. Così come non può non essere registrato il tono di apertura alla ricerca della pace, del dialogo e della coesistenza in pacifica tra tutti gli Stati della regione. Certo, Rohani non si è spinto – né poteva farlo – a ipotizzare il riconoscimento dello Stato di Israele. Ma molti altri Stati della regione, a cominciare dall’Arabia Saudita, che pure è tra i migliori alleati degli Usa, non lo fanno. In compenso ha escluso che l’Iran contempli un conflitto con lo Stato ebraico.Infine c’è il richiamo della guida suprema, Khamenei, alla virtù della «flessibilità eroica», ovvero al coraggio di mostrare flessibilità, «sia pur con ferma aderenza ai princìpi». Sono solo parole, si dirà, ma sono parole ben diverse, ancora una volta, da quelle che eravamo abituati a sentire provenire da Tehran. Considerando che appena dieci giorni fa il Medio Oriente (e forse il mondo) sembrava trovarsi sull’orlo del baratro della guerra, è importante non sottovalutare questi segnali di speranza e di pace, cercando di valutari con sguardo attento ma senza un inutile cipiglio arcigno. Che cosa abbiamo da perdere, alla fine? Ricordava Albert Einstein, «è meglio essere ottimisti e aver torto, piuttosto che pessimisti e aver ragione»... In questo caso, occorre non soffocare i semi della speranza: senza coltivare eccessive illusioni, ma lavorando affinché dalla speranza possa nascere quella fiducia senza la quale qualunque impresa umana resta vana.Per una volta, proviamo a partire dalla consapevolezza che nel tragico gioco (sinora) senza fine che è la ricerca della stabilità in Medio Oriente nessuno può illudersi di vincere, mentre tutti possiamo perdere. Guardare con attenzione, ma senza pregiudizi, alle buone notizie che per una volta arrivano da Teheran e Damasco sarebbe un primo passo di fondamentale importanza e nella giusta direzione. Per quanto sia indubbiamente prematuro stappare lo spumante, non sarebbe male comunque iniziare a tenerne qualche bottiglia in fresco.
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