martedì 10 settembre 2013
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​Il  tweet del Papa è arrivato a mezzogiorno, ora italiana: «Chiedo d’intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato». Meno di 24 ore prima era stato rilasciato il giornalista Domenico Quirico, da cinque mesi ostaggio dei ribelli, e sabato sera si era levata da piazza San Pietro e da innumerevoli altri luoghi di preghiera nel mondo l’invocazione per la pace. Ieri pomeriggio, sulla scia di questi eventi e di una diplomazia sotterranea, cui ha probabilmente contribuito la Santa Sede, il primo segnale incoraggiante nel buio tunnel della drammatica crisi siriana (centomila vittime e milioni di profughi, intere comunità cristiane costrette alla fuga: numeri e fatti che non vanno mai dimenticati). Lo spiraglio si è aperto con il "sì", tutto da confermare e rendere operativo, dato dal regime di Assad alla proposta russa di aderire all’Organizzazione per il divieto delle armi chimiche e di porre il proprio arsenale non convenzionale sotto controllo internazionale. Un’opportunità colta al volo da Mosca dopo che il segretario di Stato americano, in mattinata, aveva fatto intendere che la rinuncia ai gas da parte di Assad potrebbe essere sufficiente all’America per desistere dal progetto di raid punitivi (affermazione poi parzialmente smentita). Troppe volte abbiamo visto astuti annunci di governi sotto ultimatum per credere di essere davanti a una svolta definitiva. Tuttavia, l’ipotesi sul tavolo in queste ore potrebbe essere una fragile soluzione di compromesso, sufficiente a scongiurare a breve una potenzialmente devastante escalation del confitto in Siria. E impedire un indomabile incendio in tutta la regione mediorientale vale certamente una via di uscita che permetta, almeno temporaneamente, di salvare la faccia a tutti (o quasi) gli attori. Un gesto di buona volontà toglierebbe il leader di Damasco dal ruolo di spietato carnefice del proprio popolo e gli restituirebbe margini di manovra militare e diplomatica, nel momento in cui anche l’opposizione armata mostra i suoi molti volti, tra i quali alcuni feroci e impresentabili (e sarebbero proprio i ribelli i più "danneggiati" dall’eventuale intesa). La Russia ne uscirebbe come il perno politico di una stabilizzazione dell’area, capace di resistere ai diktat americani e di ottenere il consenso di Assad, alleato indotto a seguire una linea più ragionevole. Un provvisorio cedimento del regime servirebbe anche a togliere Obama da una posizione sempre più scomoda e scivolosa. Con il persistente "no" dell’opinione pubblica a un attacco missilistico e, di conseguenza, un Congresso che tentenna nel dargli luce verde, il presidente americano rischia una clamorosa sconfessione, che lo indebolirebbe gravemente anche nei tre lunghi anni che gli restano per il secondo mandato. Per uscire dall’angolo in cui si è chiuso da solo tracciando la "linea rossa" sull’uso delle armi chimiche, il capo della Casa Bianca potrebbe ora accettare l’offerta del regime, rivendicando la minaccia dei raid come vero motivo del cedimento di Damasco.Sarebbe certamente sbagliato illudersi che un accordo sia imminente e che il pericolo di un allargamento della guerra risulti scongiurato. C’è del vero in ogni possibile ricostruzione dello scenario che si va delineando. Chiunque abbia usato il Sarin contro la popolazione inerme ha innescato la fibrillazione planetaria che stiamo vivendo. La mossa degli Stati Uniti, per quanto improvvida, ha comunque obbligato anche Mosca a muoversi con più decisione. E ha rimesso la questione siriana al centro dell’agenda. La via della trattativa, unica strada di pace, ha potuto così – quasi paradossalmente, per contrasto ancora più evidente – mostrarsi come l’unica davvero praticabile nell’intrico di una guerra civile senza regole e ormai senza linee rintracciabili lungo le quali tagliare i fronti delle ragioni e dei torti. L’iniziativa lineare e realistica di Papa Francesco, questa sì priva di secondi fini e di interessi di altra natura, è diventata così il punto di riferimento più chiaro e luminoso. Niente ancora garantisce che il peggio non sia dietro l’angolo, come appariva solo pochi giorni fa. Ma una piccola speranza ora è accesa. E attende di essere alimentata dalla buona volontà di tutti, magari con un supplemento di fantasia diplomatica di un’Europa sempre troppo cautamente alla finestra.
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