domenica 20 ottobre 2013
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Che cosa c’entra una bomba carta con un proiettile calibro 12, più potente di una bomba a mano, con il diritto democratico a manifestare? Cosa c’entra l’assalto al ministero dell’Economia e a quello delle infrastrutture? Che cosa c’entrano le vetrine sfondate, i cassonetti bruciati, le scritte contro la Tav davanti alla statua di Giovanni Palo II? E, soprattutto, che cosa c’entra una città surreale, svuotata, impaurita? Perché tale è stata ieri Roma per quasi tutta la giornata.
Strade vuote, negozi sbarrati, decine di linee bus dirottate o soppresse, stazioni metro chiuse. Un sabato triste, impaurito. Certo poteva andare peggio. E alcuni ci speravano proprio, anzi erano venuti solo per questo. Tecnica del 'mordi e fuggi', nascosti nella folla, come normali manifestanti, per poi, indossata la 'divisa nera' del perfetto estremista, uscire e colpire. Per poi tornare, svestiti gli abiti neri, all’interno del gruppo. Tecnica nota, da anni di piombo, ritornata in auge nelle manifestazioni No Tav.
Frange estremiste, si dice, ma purtroppo tollerate dalla maggioranza dei manifestanti, in Val di Susa così come ieri a Roma (solo in pochi, e con scarso successo, hanno provato ad opporsi). Lo denuncia da tempo il procuratore di Torino, Giancarlo Caselli, invitando a prendere le distanze, a evitare giustificazioni. Un invito anche a parte del mondo politico e dell’informazione. La protesta, anche se giusta, ripete il magistrato che combatté con successo le Brigate Rosse e il terrorismo neofascista, non può giustificare nessuna violenza.
Si può discutere sui 'no' alla Tav, al Muos, agli inceneritori e a quant’altro ma, appunto, discutere. Non tenere in ostaggio una città, non scatenare violenze vigliacche (colpire e fuggire). No, tutto questo davvero non c’entra niente. Manifestare è un diritto democratico, esprimere il proprio dissenso anche in modo duro. Ma la violenza no. E non è una cosa impossibile. Quindici giorni fa 50mila persone in Campania, proprio come i manifestanti di ieri, hanno partecipato alla 'marcia per la vita', per dire no ai roghi di rifiuti, all’avvelenamento della propria terra. In testa il vescovo Spinillo e i suoi sacerdoti, dietro un popolo deluso dalle istituzioni, anche molto arrabbiato, ma non violento.
Sicuramente anche ieri la maggioranza dei manifestanti voleva protestare pacificamente (c’erano famiglie e gruppi di immigrati), ma ha purtroppo subito o tollerato una minoranza violenta. Certo poteva andare peggio, ma è troppo poco la constatazione che non è stato come due anni fa, il 15 ottobre 2011, quando la città venne messa a ferro e fuoco da tanti, troppi violenti. Se questa volta non è 'andata peggio' gran parte del merito va alle forze dell’ordine.
Due anni fa furono fatti errori, questa volta no. Anche a costo di subire, come davanti al ministero dell’Economia, lanci a ripetizione di bottiglie, sassi e bombe carta senza reagire. Un’immagine che ci ricorda il carabiniere che in Val di Susa sopportò, senza battere ciglio, gli insulti provocatori di un manifestante. Tanta acqua è passata dai gravissimi fatti del G8 di Genova, errori e colpe. Ma perché solo per poliziotti e carabinieri? Perché qualcuno impara e cambia e altri no? E perché qualcuno, certa politica e certa informazione, continua a giustificare, a voler 'capire' i violenti? No, davvero: se anche ieri poteva andare 'peggio', ciò non può bastare e non deve bastare.
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