mercoledì 18 febbraio 2009
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Caro Direttore, il Papa nel suo messaggio sui media e il cardinale Tettamanzi – nel suo recente discorso ai giornalisti – hanno ricordato quanto è importante l’educazione dei figli al buon uso dei media. Ci domandiamo se ci sono e quali siano le norme per evitare che siano nocivi. Già la nostra Costituzione stabilisce all’ultimo comma dell’art. 21 che «... sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e reprimere le violazioni», e il Codice penale interviene con gli articoli 527, 528 e 529, che però non sono praticamente applicati ai media. Per i quali invece c’è un apposito «codice di autoregolamentazione tv e minori» adottato nel 2002 e trasformato in vera legge nel 2004, la cui applicazione è affidata al Comitato tv e minori, come spiega Corrado Calabrò – presidente dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni – su «Il telespettatore» di dicembre 2008, il mensile dell’associazione spettatori Aiart. «Ci sono poi – aggiunge – il codice 'Internet e minori' del 2003 e il codice di autoregolamentazione dei gestori di telefonia mobile del 2004, ma l’applicazione di questi codici dipende dalla buona volontà dei gestori, dei quali c’è poco da fidarsi e se sbagliano non ci sono sanzioni, di cui invece c’è bisogno. Anche la bozza di codice di autodisciplina, che aveva elaborato il ministero delle Comunicazioni nella passata legislatura, per fortuna non è stata realizzata, perché nessuno si punisce da solo. Ciò che occorre invece è una nuova unica legge, che definisca la difesa dei minori e le sanzioni per ogni violazione dei loro diritti, da far valere per tutti i media, dalla tv a internet, videogiochi e videotelefoni. E questo aveva infatti deliberato il 15 maggio 2007 il Consiglio nazionale degli utenti dell’agenzia delle comunicazioni, con una precisa bozza di legge – pure riportata da «Il telespettatore» – che prevedeva un unico codice di norme e di sanzioni per tutti, ma questa proposta nessuno l’ha realizzata. Eppure ci sono tre enti responsabili delle comunicazioni: il Ministero, l’Autorità e l’Agenzia; perché non si mettono d’accordo per produrre un’unica legge a difesa dei minori?

Antonio Marzotto Caotorta, Milano

La sua domanda finale, caro Caotorta, legittima e ben posta, è il nocciolo della questione. In effetti risulta incomprensibile come a tutt’oggi manchi un testo unico di legge a protezione dei minori; un testo non solo unico ma univoco, al quale debbano attenersi controllori ( cioè i vari enti preposti) e controllati ( ovvero i media, i produttori di informazione e di comunicazione). Mentre un tempo lo spazio televisivo e d’intrattenimento deputato ai bambini e agli adolescenti era quello – ben circoscritto nella giornata – della « tv dei ragazzi » e del fumetto per l’infanzia, oggi con i palinsesti prolungati, con internet, coi videogame, coi telefonini e messaggini vige una « deregulation » piena di rischi e di insidie, soprattutto del pericolo di trasformare il minore da « utente » ( di un servizio pubblico dai contenuti morali e culturali tutelati) a « cliente » di servizi privati ottenibili comunque, talora pagando, talora con un semplice « clic » che qualunque ragazzino d’oggi può fare, soprattutto in assenza dei genitori, come comunemente avviene. Condizione perché l’immensa quantità di contenuti che affolla l’etere e il web non divenga un’ingovernabile « terra di nessuno » è che i vari codici di autodisciplina ( in mancanza di una norma universale) siano effettivamente fatti rispettare; il che vuol dire anche poter applicare – e applicare realmente – sanzioni e punizioni severe nei confronti dei trasgressori e degli abusi, cosa che quasi mai avviene. In questi anni, la nozione di « buon costume » si è radicalmente modificata se non appannata, così come si è abbassata la soglia della sensibilità comune alla volgarità e ai contenuti « forti » dal punto di vista dell’immagine e dell’impatto emotivo. Se davvero la televisione è il « grande fratello » del XXI secolo, dobbiamo poterne verificare la funzione formativa ed educativa: per farlo, servono strumenti efficaci. Merita segnalazione, in questa direzione, l’iniziativa dell’Aiart ( associazione che anche lei cita) – alla quale diamo spazio oggi a pagina 13 – che ha lanciato una campagna di raccolta firme per una proposta di legge d’iniziativa popolare per introdurre, nei programmi della scuola, l’educazione ai media.

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