venerdì 5 aprile 2013
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Sono molti i profili discutibili nell’ordinanza che rimette nuovamente al giudizio della Consulta il divieto di fecondazione eterologa. Ma tre colpiscono in maniera particolare. Anzitutto il ribaltamento che i giudici compiono del concetto stesso di coppia, aprendo questo rapporto così esclusivo all’intervento procreativo di terze persone, in nome di una supposta autodeterminazione fatta addirittura assurgere a diritto costituzionale. Arrivando al paradosso di sostenere che sarebbe il divieto di fecondazione eterologa – e non già invece la sua "liberalizzazione" – a minare la stabilità familiare. Il secondo è l’invito alla legalizzazione (da parte di un giudice!) del mercato dei gameti: ovociti e spermatozoi non vengono normalmente da donatori disinteressati, ma si comprano da chi li vende per soldi o per bisogno. Il terzo è che in questa presunta eguaglianza di diritti tra coppie e all’interno della coppia si dimentica che c’è un soggetto che dovrebbe essere più eguale degli altri. Quel figlio che ha il diritto preminente a un’origine e un’identità chiare e definite.
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