mercoledì 9 settembre 2009
COMMENTA E CONDIVIDI
Allora, Hamid Karzai ha vinto ed è stato rieletto quale legittimo pre­sidente dell’Afghanistan. O forse no: troppi brogli, troppe stranezze nei con­teggi, troppe manipolazioni. La com­missione indipendente per il monito­raggio delle elezioni – sostenuta dall’O­nu – ha ordinato un parziale riconteg­gio delle schede, in seguito alle prove manifeste di evidenti alterazioni in al­cune circoscrizioni, in particolare nel­le province sud-orientali a maggioran­za pashtun, il gruppo etnico del presi­dente. La verifica della commissione – secon­do alcuni analisti – potrebbe privare Karzai di parte di quel 54% dei voti scru­tinati, anche se probabilmente non lo farà scendere sotto al 50% dei consen­si, il risultato minimo per evitare il bal­lottaggio. In ogni caso, la formalizza­zione di queste accuse, già note da set­timane, getta pesanti ombre sulla re­golarità delle elezioni e sulla legittimità del presidente. Dopo le grandi manifestazioni di pro­testa in Iran per i brogli che hanno por­tato nel giugno scorso alla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad, ora si assi­sterà a qualcosa di simile in Afghani­stan, con il rivale Abdullah Abdullah che rifiuterà di riconoscerne la vittoria? E come si comporterà la comunità in­ternazionale, dal cui sostegno militare, politico ed economico il governo di Ka­bul dipende interamente? In un momento estremamente difficile dal punto di vista militare, con i taleban all’attacco su tutti fronti, ieri capaci ad­dirittura di colpire il quartier generale delle forze Nato nella capitale, si era spe­rato nelle elezioni d’agosto: per rilan­ciare la deludente esperienza del go­verno Karzai. Delle elezioni democrati­che, con una competizione leale fra i va­ri candidati, avrebbero dovuto dimo­strare la solidità della trasformazione in senso liberale del potere nel Paese, no­nostante i ritardi e gli ostacoli. Le cose stanno andando diversamen­te, tanto che queste elezioni potranno finire con l’indebolire ulteriormente l’Afghanistan invece che rafforzarlo, rendendo più forti le voci di chi vuole un disimpegno dell’Occidente. Per un presidente rieletto in modo dubbio sarà infatti ancor più difficile avviare politi­che credibili contro la corruzione e il mal governo, ritenute ormai indifferibili dagli osservatori internazionali. E le proteste di Abdullah inevitabilmente peggioreranno la già compromessa im­magine internazionale di Karzai. Di contro, se anche i riconteggi porte­ranno a un improbabile ballottaggio, il rischio è quello di coagulare il sostegno dei pashtun contro le forze Nato e con­tro le Nazioni Unite, a tutto vantaggio delle milizie radicali islamiche. Lo sfi­dante Abdullah sembra godere di mol­ta simpatia in Occidente, ma al di là dei suoi meriti, va considerato che la sua eventuale vittoria renderebbe ancora più problematici i rapporti con i pash­tun. In quanto tagiko (anche se solo da parte di madre), egli sarebbe rifiutato da molti capi tribali pashtun, da cui esco­no i taleban, rafforzando l’idea che l’Oc­cidente voglia solo un pupazzo da ma­nipolare a Kabul e rendendo impossi­bile ogni ipotesi di accordo con gli e­sponenti islamici meno radicali. «Ci sono momenti in cui tutto quello che facciamo sembra fallire e ritorcer­si contro di noi». Era questo il com­mento privato di un alto funzionario statunitense nel 2006, riferito all’Iraq, nel momento peggiore dopo la caccia­ta di Saddam. Sembra perfetto per l’Af­ghanistan del 2009. Eppure, così come avvenuto in Iraq, anche a Kabul è an­cora possibile evitare il fallimento tota­le: cercando di limitare gli errori mili­tari, di essere più attenti verso la popo­lazione civile e più credibili, più corag­giosi e generosi nella ricostruzione. Ma è fondamentale che che vi sia un pre­sidente che possa essere chiamato tale a voce alta, senza dubbi, distinguo e proteste.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: