domenica 17 ottobre 2010
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Caro direttore, è certamente stimolante il dibattito apertosi tra alcuni autorevoli commentatori  sulla scuola italiana. Vorrei soltanto ricordare che la scuola per il popolo (clero e nobili avevano conventi e precettori) in Italia e in Europa è nata dagli Ordini religiosi (gesuiti, salesiani, barnabiti ecc.) e che quando dapprima lo Stato (savoiardo o napoleonico) ha nazionalizzato e la pulsione anarcoide sessantottina ha poi massificato tali strutture, esse hanno subito progressivi scadimenti didattici. Inoltre è certo allarmante che abbiamo troppe scuole statali di qualità paragonabile alle peggiori americane, ma a differenza loro, noi corriamo il pericolo di vedere chiudere tutte le migliori scuole “private”, schiacciate da leggi su sicurezza, bilancio, trasparenza, agibilità ecc. che soltanto a esse viene richiesto di rispettare alla virgola da “controllori burocrati” statalisti, anticlericali e antiitaliani, spesso zitelli e senza figli.

Matteo Maria Martinoli, Milano

Mi pare di capire, caro signor Martinoli, che lei è... lievemente indignato. Non conosco lo stato civile dei “controllori burocrati” di cui parla e non so nemmeno se siano sempre e comunque sereni nello svolgimento del loro compito. Me lo auguro, così come mi auguro che si dimostrino sempre giustamente esigenti. Perché essere esigenti è un bene, a patto naturalmente che non ci siano due pesi, due misure e, magari, un po’ di occhiuta malevolenza... Ma che in una scuola tutto sia sicuro sul piano strutturale e delle dotazioni, contabilmente in ordine a livello economico e amministrativo, trasparente ed efficace sul piano didattico e agibile dal punto di vista dell’accesso (in tutte le possibile accezioni) non mi sembra soltanto opportuno, è indispensabile. La scuola è un servizio pubblico essenziale. E la “scuola pubblica” italiana è fatta per legge di “istituti statali” e di “istituti non statali paritari”. Eppure non si riesce a cambiare linguaggio e mentalità e ancor meno a superare il muro di assurde ostilità e di penalizzazioni economiche eretto contro la scuola liberamente promossa dalla società – e dal mondo cattolico come parte fondamentale della nostra società – e liberamente (seppure secondo regole stringenti) integrata nel sistema della pubblica istruzione. Eppure, tutti possono constatare che, oggi, la scuola paritaria non statale “costa” allo Stato circa 500 milioni di euro e gli fa risparmiare oltre 6 miliardi. E se qualche miope andrà a rileggersi ciò che abbiamo pubblicato il 14 ottobre a pagina 12 capirà che cosa potrebbe significare, anche in termini di spesa virtuosa, una scuola che venga messa una buona volta in condizione di camminare con entrambe le sue gambe.Ma quella somma di ostilità vecchie e incancrenite impedisce a tanti di capire (qualche illustre commentatore comincia, però, ad aprire gli occhi...) che il “privilegio” esiste solo là dove la libertà educativa delle famiglie non è rispettata. Perché, caro amico, uno Stato davvero giusto è quello che mette tutti sullo stesso piano e nelle stesse condizioni di base per scegliere. Questo, in Italia, quando c’è in ballo il diritto fondamentale dell’istruzione dei figli e della libertà educativa delle famiglie, è purtroppo quasi solo teoria. Una pura affermazione normativa di principio, che merita di avere contenuti adeguati e, finalmente, attuazione concreta.
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