lunedì 28 ottobre 2013
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Ha parlato in una piazza gremita di famiglie credenti, colma di bambini e di coppie con trenta o quaranta anni di matrimonio alle spalle; di facce sorridenti, in un giorno di festa. Ma, a sentire il Papa ieri in San Pietro, si sarebbe detto che avesse in mente anche tutte le altre famiglie: quelle che mai andrebbero alla Giornata della famiglia, quelle in cui non ci si parla più, o sofferenti, divise, sole. Guardava, Francesco, la gran folla, pensoso, e sorridente a tratti a un bambinetto che gli volteggiava tenacemente attorno. «La vita – ha detto poi, prendendo la parola – spesso è faticosa, talvolta anche tragica; lavorare è faticoso, cercare lavoro è faticoso, trovare lavoro è faticoso. Ma ciò che pesa di più nella vita è la mancanza di amore. Senza amore, la fatica è intollerabile». Senza qualcuno che ti abbracci alla sera è troppo dura, la giornata, e tutti sappiamo come il trovare o no una faccia cara ad aspettarci modifichi del tutto l’orizzonte. Ma il nucleo fondante dello stare insieme, la famiglia, è oggi intaccato «da quella cultura del provvisorio che ci taglia la vita a pezzi», ha detto il Papa: solo per una volta alzando la voce, ed esortando a non lasciarsene determinare.Ma, in che modo? In San Pietro c’erano, anche, i volti di tutti i dolori: profughi siriani, africani approdati a Lampedusa, ma anche la giovane coppia che si sposerà a primavera, e non sa come pagherà l’affitto. Dentro la durezza della vita come si fa a resistere alla «cultura del provvisorio», come si fa a volersi bene per sempre? E qui il Papa con semplicità ha rispiegato la grazia del Sacramento. Quel fattore della Grazia, che ormai quasi solo i vecchi sposi ricordano; quando molti ne sono dimentichi, oppure – trattandosi di cosa che non si tocca e non si misura – pensano che sia qualcosa di inconsistente. Mentre il matrimonio, ha spiegato il Papa, non è la bella festa di un giorno, ma è soprattutto «la grazia del Sacramento che ci fa forti nella vita, che ci fa andare avanti». Quel Terzo, insomma, preso a testimone e garante di una promessa che umanamente è arduo mantenere. Quell’Altro, fra i due, che non è un pio ricordo, ma, vivo, dà nel suo nome amore e forza. Colui, ha detto il Papa, che solo è «fonte inesauribile» di amore. Ciò che potrebbe interrogare molti di noi. Il cuore della famiglia non è in una ben disposta batteria di buoni principi morali o di seri propositi, ma invece in Cristo, nella sua persona presente. Il solo che accompagna in tutte le povertà e le miserie.E veniva in mente, guardando certi sposi di lungo corso nella folla, che forse questo era il loro cemento: il sapersi non soli, la certezza di un Dio che quel giorno aveva aggiunto, al loro sì, la sua promessa.Perchè sposarsi, ha detto il Papa, è un po’ come «il mettersi in cammino di Abramo», senza sapere quali terre si attraverseranno. Chi si affida a se stesso, facilmente desiste; la cultura dominante ordina di cogliere l’attimo fuggente, e di non fermarsi accanto a chi resta indietro. E abbandoni e tradimenti non sono perdonabili, se la promessa è solo in un "sì" romantico, negli anni lievi della giovinezza. Mentre certe facce di vecchi in San Pietro, con quattro figli e dieci nipoti alle spalle, pur segnate dalla fatica, erano coriacee nel realismo dei cristiani: che contano su quel Terzo paziente, che consente ogni sera la fatica del perdono - di tutte forse la più grande. Alla folla di famiglie Francesco ha ricordato il motore primo, il fattore primo di una Grazia fondante. Come un maestro che ricominci dall’alfabeto, sapendo che ciò che è antico può aver bisogno di parole fresche, per essere compreso. E che tutto, e oggi più che mai, a ogni generazione va annunciato di nuovo: come quel segno della croce che il Papa ha chiesto ai bambini in piazza, guardando la folla attentamente, seguendo il gesto esitante delle mani destre; come un semplice prete all’oratorio, che sa bene che nemmeno quel segno ormai a tutti è tramandato.
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