giovedì 20 giugno 2013
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​Certamente papa Francesco ha imposto uno stile, che ad alcuni, i più vecchi, ha ricordato le novità del pontificato di Giovanni XXIII, nell’affermazione di una semplicità non recitata e bensì immediata, istintiva, che è sembrata in Jorge Mario Bergoglio praticata da così tanto tempo da apparire, semplicemente, come un modo d’essere. È impressionante vedere come ci si è abituati presto a questo stile – a questa immediatezza che è almeno in parte il portato di una cultura e di un costume assai lontani dal nostro – e a questo nuovo rigore che proclama il dire e il fare dover essere la stessa cosa, e comincia subito col dimostrarlo permettendoci di verificarne l’autenticità.Proprio così, ne verifichiamo l’assenza di recita, il rifiuto della retorica delle belle parole che nascondono atti imperfetti o negativi, di tutte quelle contraddizioni vistose che nei comportamenti pubblici e in quelli di tutti trascinano così lontani da un cristianesimo vissuto, vero. E non è che questa semplicità – dimostra ogni giorno papa Francesco – porti alla perdita di autorevolezza, si direbbe anzi vero il contrario. Un amico prete mi mette in guardia e dice: «Tutto bene, anzi benissimo, ma la Chiesa è un’organizzazione complessa, è anche un sistema di posizioni e di poteri che sono andati consolidandosi nel tempo, e che hanno portato in parte alla scelta di papa Benedetto di lasciare; e non è facile, se si arriva da lontano, comprendere e controllare questi meccanismi. Indirizzarli per il meglio, dargli nuove spinte e una maggiore trasparenza per un papa che viene da lontano. Credimi, non sarà, per lui, affatto semplice». E però mi pare, da profano assoluto, che il modo di agire di papa Francesco sia, appunto, trasparente, e sappia coniugare l’intelligenza delle decisioni con la necessità delle trasformazioni, che peraltro è l’epoca stessa a imporre. Viviamo infatti in tempi niente affatto semplici, in cui le mutazioni in corso sono così profonde e talora oscure, nascoste, da esigere una grande intelligenza nella comprensione dello "stato delle cose" e nella scelta delle cose da combattere, frontalmente o prendendole da lontano, e di quelle da sostenere o da proporre. Mi sembra che il nuovo papa sia molto cosciente di come oggi va il mondo, e lo abbia dimostrato con i suoi piccoli e grandi gesti, con le parole e con i fatti, con una quotidianità chiara e determinata. E che, anche in ragione delle sue precedenti esperienze in un Paese e in un continente diversi dal nostro, egli sappia bene quali sono i nuovi assetti del mondo. Mi pare – è una mia impressione – che egli sia cosciente dei modi in cui la finanza tenta ovunque, e nei Paesi ricchi c’è già riuscita in pieno, di condizionare la democrazia dando il potere a una oligarchia del denaro cinicamente impersonale, mentre in altri, e davvero in tanti, dà spazio alla corruttrice ricchezza prodotta dal crimine che in molti Paesi ha conquistato le vecchie classi dirigenti e ne ha imposte di nuove. Mi pare che si renda conto della crescente invadenza dei nuovi media che distraggono e al contempo servono al controllo sociale, alla limitazione della capacità di ciascuno di pensare con la propria testa; si renda conto della portata degli scontri in atto tra passato e presente e tra ricchi e poveri in molte parti del mondo, e di come l’occidente susciti con la sua arroganza, rivolte niente affatto limpide, eccetera.Contiamo cento giorni con questo papa. Affrontati con umiltà e persuasione, tra i pochi motivi di speranza che il futuro ci offre, oggi, e specialmente nel nostro confuso e a lungo malgovernato Paese.
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