mercoledì 22 agosto 2012
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Il Mazapégul vaga per il Meeting e vede un sacco di "ii". Cioè degli "io". Uno appoggiato a un bidone. Uno dietro a un banco. Uno che tira su un cartello, un altro "io" là che spazza. Poi un io che guarda con occhio luccicante una "ia", insomma un "io" diversamente conformata. Gli scienziati non sanno come trovare l’"io", si perdono nei circuiti di vario genere tra scoperte chimiche, neuroscientifiche, linguistiche. E dicono a volte: l’io no, non esiste. invece il Mazapégul ne vede un sacco. Visionario lui o ciechi quegli scienziati che nell’800 sezionavano il corpo e non trovando l’anima dicevano "non esiste"? Forse il Mazapégul è più sapiente dei tanti scienziati citati nell’incontro su «Neuroscienze: il mistero dell’unità dell’io». È che l’"io" le "ia" gli "ii" (che non sono versi d’asino ma lo spettacolo dell’umano) non si conoscono guardando uno schermo, un pc, una serie di analisi matematiche. Ma vedendo cosa succede mentre siamo in azione. Perché l’io, come hanno ricordato i professori Cesana, Di Francesco e Moro, è un mistero, nel senso che è evidente la sua presenza nell’azione ma non lo possediamo. Il Mazapégul che vede tutti sti "io" in azione al Meeting, è felice come una pasqua anche se è agosto. E vede che nessuno possiede nessuno qui. Perché anche i due amici che se ne son venuti qui da una città del Sud a lavorare e sudano insieme nel far lo stesso servizio, e fanno il Meeting che non si vede, impastati come si impastano i giovani tra loro in amicizia e legame, ecco, anche l’"io" di uno è mistero all’"io" dell’altro. E lo stupore con cui guardi chi vedi per la prima volta è come se fosse cento volte più forte di quando incontri uno qui per la milionesima volta. E mentre i giornali – che sono ogni giorno più vecchi – si perdono a inseguire i sospiri e i battimani, il Meetinghista si concentra su faccende basilari: l’io, l’amore, l’infinito. Il Mazapégul vede degli "io" che hanno una certa gioia addosso, una certa lena, una certa curiosità. Tutte cose che non possono stare addosso a un "niente". Del resto, non s’è mai visto andare a spasso il Dolore, o la Gioia o il Desiderio. Ma un io che soffre, che goisce e che desidera.​
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