sabato 26 ottobre 2013
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Il Duomo di Milano entra in carcere. Accade a San Vittore, dove da oggi, per una settimana, viene allestita una mostra che racconta le origini e la storia della cattedrale ambrosiana. L’iniziativa è riservata ai detenuti e agli operatori del penitenziario, e sarà un gruppo di carcerati a proporre alcune visite guidate, ogni giorno per ciascuno dei sei raggi. Già questo è un fatto straordinario che rompe l’ordinarietà della vita carceraria, dove le giornate passano spesso senza che il tempo acquisti significato.
Ma la cosa più straordinaria è la genesi dell’iniziativa, che nasce.... da uno sguardo. Per capire, bisogna riavvolgere il nastro e raccontare una storia di semplice amicizia, nata tra le mura di San Vittore tra alcuni volontari dell’associazione 'Incontro e presenza' che ogni quindici giorni vanno a trovare Stefano (nome di fantasia), un giovane detenuto che deve scontare una lunga pena. Un giorno di febbraio, i volontari gli raccontano di una mostra dedicata al Duomo di Milano che avevano visitato al Meeting di Rimini (Ad usum fabricae, realizzata con il patrocinio della Veneranda Fabbrica).
Sfogliando il catalogo, Stefano scopre che la cattedrale è stata edificata grazie al contributo di migliaia di persone d’ogni condizione sociale: ricchi e poveri, nobili e mercanti, soldati e artigiani, e perfino prostitute, malfattori e detenuti. Nel corso dei secoli, ognuno offriva qualcosa – denaro, lavoro, cibo, materiali – per realizzare una Casa dove la misericordia di Dio potesse abbracciare tutti sotto il suo mantello. Una cattedrale per tutti, anche per l’ultimo dei peccatori, un luogo a cui tutti sentivano di appartenere perché ciascuno ci aveva messo del suo. Nel dialogo con i volontari, il giovane detenuto intuisce che ogni uomo può costruire un po’ di bene, in qualsiasi condizione si trovi, perché l’uomo è fatto ultimamente per il bene.
È l’inizio di una più intensa amicizia, ed è la scintilla da cui nasce l’idea: Stefano non potrà mai vedere quella mostra, e allora bisogna portare la mostra da Stefano. Si affronta la lunga trafila burocratica per dare corpo all’idea, che dopo mesi di gestazione – anche grazie alla collaborazione della direzione del penitenziario – si materializza. Nei giorni scorsi la professoressa Mariella Carlotti, una delle curatrici, ha incontrato alcuni detenuti che si erano candidati a fare visite guidate per i loro compagni. Con gli occhi pieni di stupore hanno scoperto la storia e le meraviglie del Duomo, le vite di tanti piccoli e grandi benefattori, e hanno capito che tutti loro, pur feriti dall’errore, possono stare davanti al volto misericordioso di Dio. Possono guardare se stessi e la realtà non dal buco della ferita, non mettendo il braccio davanti al volto per difendersi dalla vergogna che provano per il male compiuto, ma alzando la faccia verso Chi sa perdonare e dà l’energia per ricominciare.
Commentando l’incontro tra Gesù e Zaccheo, raggiunto dallo sguardo d’amore del Messia, Sant’Agostino scrive: «Visus est et vidit», fu guardato e allora vide. Vide la vita con occhi nuovi, rigenerati da quello sguardo. È successo a Zaccheo duemila anni fa sulle strade polverose della Palestina, succede oggi a Stefano e a tanti come lui tra le mura di una cella. Nelle periferie esistenziali di allora e di oggi.
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