giovedì 1 ottobre 2015
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Caro direttore,
l’Italia ha perduto un mese fa uno dei suoi cittadini migliori. Anatolij Korol aveva passaporto e cittadinanza ucraina eppure ha creduto che il fazzoletto di terra dove è dovuto emigrare per trovare lavoro andasse difeso come la sua casa, che fosse la sua casa, al punto di cercare di fermare, a mani nude, due rapinatori armati che minacciavano la cassiera di un supermercato a Castello di Cisterna. Per questo si è esposto, forse sperando nella reazione di altri, e ha fermato un rapinatore, ma è rimasto solo e indifeso. E il secondo ladro non ha esitato a sparare due volte, colpendolo con ferocia, rubando molto di più: la vita di un uomo giusto. Si è detto e scritto molto, e ancora si dirà e si scriverà, sull’eccezionale altruismo, sul coraggio al limite dell’incoscienza di questo uomo serio e perbene. Tuttavia il disprezzo per la vita che ha mosso l’assassino e la reazione coraggiosa e solitaria di Anatolij ci interrogano profondamente: cosa e quanto siamo disposti a dare per rendere migliore il Paese, la città, il mondo in cui viviamo? Domanda ingenua, al limite del naïf: non conosciamo fin troppo bene le cause del degrado ambientale, culturale, morale che sfigura e rende violenta la vita di troppi, specialmente di troppi giovani? Non siamo tutti vittime della corruzione, dell’incompetenza, dell’incapacità di altri, di chi ha più potere, ricchezza, forza di noi? Non sappiamo – qualcuno lo ha ricordato – che di fronte alla violenza bisogna essere prudenti, che non vale la pena di rischiare. Buonsenso. Ragionevolezza. Ma la solitudine di Anatolij non è fatta di anche di questo? Intendiamoci, non credo che in quel supermercato di Castello di Cisterna avrei saputo vincere la paralisi della paura. Ma non per questo posso pensare che Anatolij sia morto perché è stato "troppo" generoso. Per questo la domanda deve restare aperta: cosa e quanto di nostro mettiamo in gioco per difendere, far crescere, rendere migliore la vita di tutti? Se lo chiedo a me stesso devo rispondere così: meno di Anatolij. Ma non solo: lui non è stato il primo né l’unico immigrato a mettere in pericolo la sua vita quando ha visto minacciata quella di altri. Sono episodi dei quali non è facile trovarne traccia. Eccone alcuni: il 20 giugno 2001 in un ufficio postale di Milano un italiano di 62 anni armato di pistola è neutralizzato da un immigrato, a Bologna nei primi giorni di ottobre del 2001 un marocchino di 26 anni, attirato dalle grida di aiuto di una donna, insegue e assicura alla giustizia il rapinatore di una farmacia. La giustizia ringrazia e lo espelle perché non ha il permesso di soggiorno. Luglio 2007: a Mira in provincia di Venezia una badante moldava di 28 anni riesce a proteggere i "suoi" anziani da quattro malviventi e attende l’arrivo delle forze dell’ordine per confortarli e dare tutte le informazioni utili alle indagini. Ne ricava una denuncia per immigrazione clandestina. Ottobre 2010: ancora due irregolari, un ghanese e un liberiano, bloccano a Palermo il rapinatore di un supermercato. Crotone, dicembre 2012, una donna è vittima di un tentativo di scippo: il rapinatore la trascina per i capelli mentre cerca di sottrarle la borsa. Davanti a questa scena solo un gruppo di africani ritiene valga la pena di intervenire e consegna il ladro alla polizia. Il 30 marzo 2013 Khadime, senegalese senza permesso di soggiorno - un altro "clandestino venuto per delinquere" secondo certi illuminati politici e giornalisti nostrani - ha sventato una rapina in una focacceria di Bari. A Prato un gruppo di cinesi nell’ottobre del 2013 riesce a trattenere e far arrestare un libanese che, complici una donna italiana e un brasiliano, aveva rapinato una donna anch’essa cinese. Un mendicante africano all’uscita di un supermercato di Brindisi non ha esitato a ingaggiare una colluttazione con un maldestro ladro nel marzo del 2014. A novembre dello stesso anno a Napoli, in piazza Garibaldi, Benjamin, ancora un senegalese, ha inseguito e bloccato due giovani armati di coltello che avevano scippato una donna. Non tutti i presenti hanno apprezzato il gesto: alcuni hanno cercato di coprire la fuga dei rapinatori e minacciato Benjamin di morte. Nonostante questo il senegalese è riuscito a trattenere e far arrestare uno dei rapinatori quando, all’arrivo dei vigili prima e dei carabinieri poi, i vigliacchi sodali dei delinquenti sono fuggiti. Tanti anche i casi di immigrati che hanno soccorso e salvato dall’annegamento bagnanti in tutte le regioni della Penisola o in altre circostanze drammatiche. Vale la pena di ricordare il marocchino senza permesso di soggiorno che in provincia di Avezzano, dopo aver salvato una famiglia finita con l’auto in un fiume, all’arrivo dei soccorsi è fuggito per paura di essere espulso. Queste storie parlano di un grande amore per la vita, così grande che non si accontenta di amare solo la propria.
Giuseppe Brancaccio
Insegnate volontario di lingua e cultura italiana
Grazie per la sua passione e la sua schiettezza, caro professor Brancaccio. Grazie per la sua competenza e il suo concreto lavoro. E grazie per le sue domande. Perché – lei lo sa e, certo, lo insegna – l’importante è avere il coraggio di farsi e di condividere le domande giuste anche quando sappiamo che la risposta non è facile e può rivelarsi molto difficile. L’importante è aver chiaro che cosa è bene e che cosa è male , e non solo per noi stessi o perché un bel giorno lo abbiamo deciso noi. L’importante (e qui penso anch’io a certi politici e a qualche collega giornalista) è avere occhi per vedere e non solo bocca per parlare o mani capaci per scrivere. L’importante, nel mestiere di vivere, è usare testa e cuore e onestà per valutare altri esseri umani, perché gli altri possono essere diversi da noi solo per il luogo dove sono nati, ma ci sono uguali in tutto e hanno sempre la nostra stessa “altezza”. L’importante è continuare a insegnare e a imparare che quella che Anatolij Korol ha percorso, sacrificando la vita a causa della sanguinaria follia di un altro uomo, è davvero la via maestra. Perché comunque la pensiamo e persino oltre i nostri meriti e demeriti nessuno vive mai, e nessuno muore, solo di sé e per sé. Domani, al Quirinale, il presidente Mattarella consegnerà alla famiglia di questo nostro esemplare concittadino di origine ucraina la Medaglia d’oro al valor civile che ha deciso di attribuirgli su proposta del ministro dell’Interno Alfano. Un riconoscimento alla memoria. È voce comune e amara, ripresa anche in veementi versi di poesia civile, che le medaglie servono a ben poco. Più anni vivo, però, più mi rendo conto che la memoria è fondamentale e che aiutarla è saggio. Le medaglie buone e davvero meritate come questa ci dicono che non possiamo dimenticare di essere grati. Ricordare Anatolij è rammentare la parte migliore di noi.
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