giovedì 22 ottobre 2009
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L’attuale situazione internazionale ci pone l’obbligo morale di condurre una politica pro-attiva nella direzione della reciproca comprensione inter-culturale, attuata attraverso concrete pratiche di dialogo e di ascolto delle reciproche ragioni. Lavorare per un nuovo ordine mondiale pacifico, pluralistico e condiviso anche sotto il profilo del reciproco riconoscimento delle identità (incluse quelle religiose) non è un obiettivo idealistico. Al contrario, si tratta di una politica estera fortemente realistica, in quanto essa consente di prefigurare concrete e solide alternative al confronto e al conflitto. La politica inter-culturale a livello internazionale non si basa, infatti, su costruzioni astratte, ma sulla "ragion pratica". In questo rinnovamento dei paradigmi della diplomazia e dell’azione di politica estera entrano in gioco la consapevolezza di essere entrati in un fase strutturalmente multipolare, la necessità di una nuova e più ampiamente accettata legittimità delle norme e delle istituzioni internazionali, un’idea di pace di respiro ampio e articolato, che comprenda anche gli aspetti – da essa inscindibili – della giustizia (in termini di possibilità di sviluppo per tutti) e della riconciliazione come metodo per risolvere alla radice le contrapposizioni più pervicaci. È per queste ragioni che la riflessione strategica sul rapporto tra religione e politica internazionale assume ormai un’importanza per molti versi analoga – e non sembri un’esagerazione – a quella della non-proliferazione nucleare. La prospettiva che sottolinea il ruolo e la funzione delle religioni sulla scena mondiale si affianca, con pari forza e dignità analitica, nella sua versione "costruttiva" di dialogo tra le civiltà, ai due paradigmi contraddittori della "fine della storia", da una parte (in termini di affermazione globale del modello democratico-liberale), e dello "scontro di civiltà" dall’altro (che invece sottolinea la sostanziale "intraducibilità" reciproca delle culture e delle civilizzazioni). Senza questa integrazione del tema dell’identità e in particolare della religione nei parametri utilizzati nell’analisi politico-diplomatica, appare impossibile comprendere la gran parte delle trasformazioni o anche involuzioni presenti in diverse regioni, dal Medio Oriente ampliato all’Asia Centrale, dall’Africa all’Estremo Oriente. Abbiamo perciò appoggiato con convinzione iniziative concepite proprio per dare spazio a questa esigenza. Ne cito due : la prima riguarda il "modello indonesiano" come contesto di pluralismo etnico-culturale e di pacifica convivenza tra religioni (convegno promosso in collaborazione con la comunità di Sant’Egidio); la seconda si è incentrata sulla cooperazione tra le grandi religioni per la pace e lo sviluppo, in occasione dell’incontro dei Leader religiosi del G8, ospitato alla Farnesina e organizzato dalla Conferenza episcopale italiana. Credo tuttavia che la tematica del posto che le religioni assumono oggi tra i fattori strutturali della politica internazionale rappresenti una questione sulla quale occorra concentrarsi in modo non episodico o occasionale. Ecco perché abbiamo deciso di rafforzare e rilanciare su nuove basi il legame dell’Italia con l’"Alleanza delle civiltà", importante iniziativa a carattere permanente avviata dalle Nazioni Unite. Ci siamo mossi in diverse direzioni. La prima linea di riflessione, a metà tra l’ambito interno e lo scenario internazionale, riguarda la città inter-etnica e le politiche di integrazione nella grandi aree metropolitane del globo, e in special modo nel Mediterraneo. La seconda linea di approfondimento  concerne le opportunità e sfide poste dall’emergere della religione come fattore capace di influenzare le scelte degli "attori" internazionali. Da questo punto di vista, se c’è un ruolo strategico che le convinzioni religiose possono assumere, motivando costruttivamente attori statali e non-statali, è certamente quello della "diplomazia preventiva", nella prospettiva della risoluzione di conflitti e della promozione di un clima maggiormente favorevole alla reciproca conoscenza, al dialogo "strutturale"  tra le grandi aree culturali del pianeta e al rafforzamento delle convergenze su tematiche di carattere globale.*Ministro degli Affari Esteri
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