sabato 23 novembre 2013
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Caro direttore,
il giorno di Natale del 1991 ho assistito alla televisione all’ammaino della bandiera rossa dal pennone più alto del Cremlino. E pochi giorni dopo, la maggioranza dei giornali e dei giornalisti già pensava e tifava per l’unione delle due Germanie. Interpellato sull’argomento, Giulio Andreotti, con la sua proverbiale calma, commentava invece che la cosa non era assolutamente da fare per un periodo di anni abbastanza lungo. Mi sono ricordato di tutto questo perché l’evolversi della situazione europea mi fa pensare che la Prussia è e sarà sempre Prussia. E che coloro che hanno perso la Seconda Guerra mondiale stanno già vincendo la Terza, pensando all’abbraccio con Putin, come previsto da Giancarlo Galli sul nostro “Avvenire” del 14 novembre. Che cosa pensano e che cosa faranno tutti quei nostri politici che, concentrati solo sui casi di Silvio Berlusconi, continuano a perdere tempo?
Stefano Cavalli
Andreotti con una memorabile frase delle sue disse anche a chi gli rimproverava di non voler abbastanza bene alla Germania: «Amo così tanto la Germania, da desiderare che ce ne siano due». Ma la storia è storia e il futuro non si scrive con i “se”. Io rispetto la Germania e mi sta bene che sia una, proprio come la pensò e realizzò Helmut Kohl: «Unita in un’Europa unita». Purtroppo non si riescono a vedere leader europei all’altezza del grande cancelliere della “doppia unificazione”, né a Berlino né altrove. Come lei, caro amico, ne vorrei più d’uno: in tutti e ventotto gli Stati dell’Unione e in tutti i partiti, ma soprattutto a Roma. Credo tuttavia che Enrico Letta stia dimostrando lo sguardo giusto e, tra le note difficoltà che lei richiama, stia tentando passi importanti nella buona direzione.
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