martedì 8 settembre 2009
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«A voi affido le mie intenzioni»: così mentre scende la sera il Papa, pellegrino a Viterbo, si rivolge alle monache di vita contemplativa, pronto ad aprire il suo sguardo orante sul mondo e a rendere il sacrificio di lode a Dio per la Chiesa. La domenica è passata veloce tra grida di speranza e sguardi di futuro. Uomini, donne, giovani, vecchi, tante mani supplichevoli tese a rintracciare l’Apostolo, la forza che emana e si affaccia alla storia, colore di novità per rendere nuova l’avventura umana in Cristo. Forza non sua, non sua per merito. Pietro conosce l’uomo: l’Apostolo non ha né oro né argento, non altro vanto se non il nome preziosissimo del Maestro di Galilea. Il vero vanto di Pietro, il suo unico sostegno, è sapere di essere Vicario e Altro ha la libertà di passare per il suo corpo, per la sua parola. Altro, Colui al quale non si è neppure degni di sciogliere i calzari. Le parole di Pietro restano per chi le ascolta, diventano storia per chi da esse si lascia acchiappare. Sono parole pesanti, cocenti, che seguono il ritmo dell’emozione. Parole di fiducia, di speranza, di trasformazione della storia in nome della verità che libera. Parole decisive che non consentono alibi a chi le rilegge nell’ora del silenzio, a chi, come le monache, comprende cosa abbia chiesto loro il Sommo Pontefice, quando con umiltà ha detto: "Pregate per me, pregate per i sacerdoti, i seminaristi, per le vocazioni. Pregate dunque per gli apostoli, per la loro missione. Siate con il vostro silenzio orante il sostegno a distanza".Poesia che s’incarna nel rumore spumeggiante delle parole inutili, di quelle che vorrebbero piegare la verità a colpi di frastuoni assordati, di gazzarre feroci per sottomettere clienti e vendere merce scaduta. Sorprende la mistica rivoluzione del Pastore, sconvolge la parola del silenzio. Tra tantissimi volti commossi di uomini in cerca di futuro, pochi curiosi accorsi a cercare pretesti, a estrapolare virgole, tralasciano il ritmo della luce e si assentano, qualora siano mai stati davvero presenti, correndo altrove, prima che la festa arrivi al suo compimento, prima che l’Apostolo, dopo essersi inginocchiato dinanzi al Sacramento in adorazione, ai piedi della Madonna della quercia, abbia sciolto la preghiera per i viandanti del tempo, per i figli e i fratelli che il Maestro di Galilea gli ha affidato il giorno in cui lo ha scelto.Benedetto parla a Maria da figlio, con i figli, si affida alla Madre e ci affida alle sue premure, implora la benedizione per l’Italia, per l’Europa, per il mondo e invocando la Vergine obbediente, la giovane di Nazareth, la Madre della Chiesa, l’Immacolata, la Vergine clemente, la madre dell’umanità, la stella della speranza, pronuncia i nomi dell’incontro per segnare il percorso dell’abbandono. La supplica è per chi soffre, per chi spera in un mondo migliore, per chi lavora per costruire una terra dove trionfi la giustizia e regni la fraternità, dove cessino l’egoismo e l’odio. Un tenero sguardo alle famiglie, focolare di serenità, porto sicuro, uno sguardo che non trascura quelle che vivono la sofferenza, la crisi, la divisione. Tenerezza che abbraccia gli uomini e le donne del nostro tempo, i popoli e i governanti, e consola chi piange, chi soffre, chi pena per l’umana ingiustizia, sostegno di chi vacilla sotto il peso della fatica e guarda al futuro senza speranza. Quei pochi curiosi, accorsi per altri interessi, ora altrove, non hanno tempo di raccontare di un Papa in preghiera. Eppure, per comprendere il pensiero, la profondità delle parole di un uomo di Dio bisogna incontrarlo là dove la sua voce si scioglie nel canto della lode.
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