martedì 23 giugno 2009
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Pochi giorni fa il viceministro alla Sanità Fazio aveva detto che entro l’estate l’Agenzia italiana del farmaco potrebbe autorizzare la commercializzazione in Italia della Ru486, la pillola abortiva. Venerdì sera un lancio di agenzia anticipava i nuovi dati forniti dalla stessa casa produttrice al Ministero: le morti successive alla assunzione della Ru486 sarebbero ad oggi, in vent’anni nel mondo – o almeno nel Primo mondo – 29, contro le 16 finora dichiarate: quasi il doppio. Ora, benché nel lancio si legga che «l’azienda non ritiene sussistere alcun legame fra i decessi segnalati e la somministrazione di mifepristone», 29 morti contro 16 per un farmaco che la propaganda mediatica spaccia come l’aborto 'facile', non sono poche. Ci si poteva aspettare qualche sussulto, sui giornali. Macché. Quasi niente. Al via libera manca giusto ormai il parere dell’Aifa. Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare, si è detta preoccupata che «tutto proceda come niente fosse». Sembra di aver davanti una macchina burocratica che, una volta avviata, procede, incurante di ciò che incontrano i suoi ingranaggi. Certo, la casa farmaceutica sottolinea che quelle morti sono dovute a infezioni o emorragie. Sta di fatto che, prima di ognuno di questi eventi, c’è stata la Ru486. 29 morti. Non è un dato da poco. Fosse un comune antinfiammatorio,o un analgesico, a uscirsene con questo biglietto da visita alla vigilia della commercializzazione, ne verrebbero fuori larghi titoli sui giornali. Ci si porrebbe, quanto meno, il problema. Invece, strano, niente. Pare che tutte le mediatiche apprensioni di carattere salutistico che ogni giorno a torto o ragione ci angosciano – ogm, coloranti cancerogeni, polveri sottili e quant’altro – si sgonfino d’incanto quando l’oggetto del contendere è una pillola abortiva. Quasi che, quella, fosse buona per forza. Naturalmente 'buona', in quanto risolve, dicono, più agevolmente una maternità non voluta. Buona perché più 'facile'. Buona perché strumento di libertà. Un dogma, la Ru486, del culturalmente corretto. E toccare certi dogmi non piace. Intanto il prezzo della pillola, dicono i bene informati, è già stato fissato. Manca l’ok dell’Aifa. Ragionevole sarebbe aspettarsi almeno una più ampia riflessione, e una decisione gestita con trasparenza. Lo vorrebbe il buon senso. Ma l’atteggiamento ideologico non ragiona sui fatti. Ha già deciso, a priori. La realtà, i numeri sono secondari. O trattabili. Diranno: dimostrateci che quella infezione irrimediabile è dovuta al mifiprestone. Che i 950 effetti avversi segnalati nel 2006 dalla Food and Drug Administration (di cui 9 casi di pericolo di vita, 88 infezioni, 6 trombosi, 232 ricoveri) sono matematicamente addebitabili alla Ru486. Fosse un antinfiammatorio – ripetiamo –, ci si andrebbe con i piedi di piombo. Invece con questa roba che – affermava, già nel 2005, New England Medical Journal – provoca una mortalità dieci volte maggiore dell’aborto chirurgico, niente. Nessun allarme sui giornali. Va tutto bene. Come mai? Perché la Ru486 è una grande invenzione. Libera i medici dal fardello penoso del procurare aborti; elimina l’intervento chirurgico, e induce le diciottenni a credere che non è niente, è solo una pillola (anche se poi quei due giorni di attesa dell’emorragia, saranno, nei pensieri delle donne, lunghissimi). È la taylorizzazione dell’aborto servita pronta, in un tempo in cui non si vuole insegnare ai figli a pensare. 29 contro 16. Quasi il doppio di quanto si credeva, e solo i casi denunciati dell’Occidente. Ma, la usano tutti, in Europa; ma, la libertà della donna, ma, la modernità. La nave della burocrazia va avanti. L’ideologia e il consenso soffiano nelle vele. Che non si dica però, fra degli anni: non sapevamo. A ciascuno le sue responsabilità. Anche quella di calcolare come irrilevante effetto collaterale la vita o la salute di una ragazza, che credeva che fosse solo una pillola.
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