venerdì 8 marzo 2013
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Caro direttore, nel 1982 la segretaria di Roberto Calvi, nel 2004 un dirigente della Parmalat, ora il direttore comunicazione Mps. Dalla finestra dell’ufficio o da un ponte hanno preferito spezzare le loro vite. Tre scandali finanziari che hanno riguardato il nostro Paese, tre persone sfiorate da inchieste giudiziarie o più semplicemente vicine alle stanze dei bottoni, che non volevano ombre sul loro cammino professionale. Ogni scandalo porta il dramma umano degli esuberi e dei licenziamenti e vuole la sua vittima sacrificale. I vertici di Mps, come vuole la prassi manageriale, invitano i dipendenti «a trovare la forza e l’impegno per andare avanti». Uno stimolo giusto, ma oltre al silenzio, e per chi crede, la preghiera, forse, è giusto porsi anche qualche domanda. Perché, sul selciato non c’è soltanto un uomo e, intorno, i suoi familiari.
Andrea Sillioni, Bolsena (Vt) 
La sua lettera, caro signor Sillioni, è una domanda sulla quale è giusto riflettere e – con il pudore e il rispetto che le tragedie meritano – tentare risposta. Immagino la riflessione e la risposta che vorrebbe, ma oggi non mi sento che di dare e lei e ai lettori quelle che riguardano prima di tutto il mio mestiere di giornalista e il modo in cui ormai lo stiamo facendo anche davanti al gesto insondabile e terribile di un uomo che si toglie la vita. La parte più dura del selciato su cui mercoledì 6 marzo, a Siena, s’è spezzata l’esistenza di David Rossi è stata, per me, nei titoli a tutta pagina di molti giornali del giorno dopo. Noi di "Avvenire" non l’abbiamo fatto. Anzi la notizia, ieri, non era proprio in pagina, neanche all’interno del nostro giornale, sebbene fosse arrivata in tempo almeno per l’ultima edizione. Come tanti altri colleghi, infatti, sono cresciuto a una scuola di giornalismo, frequentata in diverse redazioni, che mi ha instillato un consapevole orgoglio e uno scomodo senso del dovere: garantire la qualità delle notizie date ai lettori e poter spiegare sempre e interamente – esserne cioè addirittura orgogliosi, come per uno scoop – le notizie non date. Prime fra tutte, in quest’ultimo caso, quelle riguardanti i suicidi. Un limite morale da rispettare con civile tenacia, a parte pochi casi eccezionali. Questo ho imparato, di questo sono umanamente e professionalmente convinto e questo – pur tra errori personali che si sommano a quelli tipici di un mestiere imperfetto come il nostro – cerco, a mia volta, di trasmettere a chi lavora con me in un tempo concitato e irriflessivo che sembra imporre ben altre logiche e non sopporta le antiche regole, persino le più sagge. So bene che la drammatica fine del responsabile della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, nel pieno dello scandalo che ha travolto quella grande e gloriosa banca, è purtroppo uno di questi casi eccezionali. E, infatti, oggi anche noi diamo sobriamente conto della tragedia, disegnando il quadro del contesto cittadino e umano nel quale si è dolorosamente iscritta. Ma mercoledì sera avremmo potuto dare la notizia solo nella sua nudità feroce o, forse, accompagnare quel gesto estremo di una persona, e il lutto di coloro che gli hanno voluto bene e che gli sono stati amici, con qualche "si dice" e con ipotesi che mi sarebbe difficile definire rispettose. Un durissimo esclamativo, comunque. Ha proprio ragione, caro amico, sul selciato della disperazione non c’è stato neanche stavolta soltanto un uomo circondato dallo strazio dei suoi familiari.
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