Quel deserto nei nostri Paesi
domenica 13 settembre 2020

La pandemia di Covid19 si è abbattuta sull’Italia con violenza inaudita, andando a esacerbare alcune situazioni che erano già vicine al collasso. Quella più drammatica, epocale, riguarda quel magnifico tessuto di vita e attività umane che per secoli e secoli ha vissuto dentro i nostri paesi e nei loro centri storici. Non occorre nessun titolo di studio speciale, né talento da investigatore, bastano occhi aperti per guardare. Chi vive nei piccoli e medi centri del nostro Stivale ne è tristemente consapevole. L’Italia, il Paese dei paesi, sta diventando un deserto di serrande chiuse e sogni imprenditoriali che s’infrangono, di vie, corsi interi di negozi serrati dove in bella mostra c’è solo il cartello 'vendesi'. le statistiche del 2020 non sono ancora disponibili, ma saranno paragonabili a quelli di un Paese appena uscito da una guerra. Per fare qualche numero, e per capire di cosa stiamo parlando, basta citare i dati relativi al 2019. In dodici mesi hanno chiuso per sempre 5mila piccoli esercenti, la media fa poco più di 13 negozi al giorno. Un dramma inarrestabile a cui il Covid-19 ha dato il colpo di grazia. In crisi ci sono tutti i settori merceologici, in particolare l’abbigliamento, poi le edicole, i ferramenta, le librerie.

La lista potrebbe continuare. Chi riesce a resistere lo fa in perdita, spesso perché legato a quell’attività da sentimento puro, non certo da guadagno, perché quell’attività è spesso tradizione familiare, inaugurata magari da oltre un secolo. In molti, oggi, si ritrovano di fronte a una scelta inesorabile: chiudere l’attività. Con tutto quel che ne consegue. Non solo da un punto di vista economico, ma ancora prima umano, sociale. Perché chiudere la serranda definitivamente significa arrendersi per sempre, tradire il lavoro di chi ha speso una vita intera per quell’attività, che l’ha tirata su dal nulla scommettendo su un sogno. I nostri genitori. I nostri nonni. Le analisi si sprecano, così come i colpevoli più o meno evidenti. Ora il Covid è lo spauracchio cui attribuire, anche con malafede, le responsabilità di tutto il problema. Ma i guasti veri nascono prima. Viviamo in un Paese che strangola di tasse e burocrazia, che non aiuta, anzi, semmai è zavorra ai progetti di chi malgrado i tempi tenta di scommettere su un negozio. Altro colpevole sotto gli occhi di tutti: la rete. I grandi store online godono di privilegi, in primis la scontistica, che i piccoli esercenti non hanno.

Si potrebbe continuare. I responsabili di questa china tremenda sono tanti, ed è senz’altro necessario individuarli per provare a porre qualche rimedio, in primis con la politica, quello che sembra sfuggire ai più è però altro. La valenza sociale, collettiva, delle piccole e medie attività che fiorivano nei nostri centri, che ne erano in qualche modo anima e motivo di aggregazione. Senza mercato a dimesione umana viene meno il concetto stesso di polis. Perché questo era il motivo per cui si andava in paese: per acquistare beni di prima necessità, o il vestito buono per la domenica. Senza negozi la polis sparisce. Se non si è d’accordo con questa affermazione basta girare da nord a sud il nostro Paese. Perché a serrande abbassate corrisponde il più delle volte lo spopolamento dei piccoli centri.

Cosa si rimane a fare in un luogo che non ha più nemmeno un forno per comprare il pane? Difendere il commercio al dettaglio, le piccole attività artigianali, significa difendere la sopravvivenza stessa della nostra realtà per come la conosciamo da secoli a questa parte. Prendete il centro di Roma, ogni via rimanda a un commercio preciso. Via dei Giubbonari si chiama così perché ci lavoravano, e vendevano i loro prodotti, i gipponari, ovvero i tessitori di corpetti. All’orizzonte si profila un crocevia, uno spartiacque senza ritorno. O lavoriamo tutti, anche i semplici cittadini attraverso i loro consumi, alla tutela dei nostri negozi, quindi dei nostri paesi, oppure prepariamoci a luoghi fantasma, senza più vita né futuro, dove si andrà per vedere come si viveva in un’epoca passata.

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