venerdì 29 maggio 2009
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Dopo tante previsioni rilevatesi inconsistenti Barack Obama ha reso finalmente nota la scelta del nuovo ambasciatore presso la Santa Sede. È Miguel Diaz, teologo di origini cubane, regolarmente sposato con quattro figli. E questa posizione canonicamente ineccepibile gli è valsa l’agreement vaticano che, secondo prassi, ha anticipato l’annuncio della Casa Bianca. Il fatto poi che il prescelto sia un ispanico, e sia di umili origini (figlio di un cameriere e una centralinista), è stata l’ennesima (dopo la designazione di Sonia Sotomayor a giudice della Corte Suprema) mossa ad effetto di un presidente che nell’immaginario collettivo esalta la positività del sogno americano. La sua nomina ha comunque suscitato un ampio dibattito nel vivace mondo cattolico degli Usa. Con posizioni anche contrapposte. Il gesuita James Martin del settimanale 'America' l’ha definita «una magnifica ( superb) scelta», notando che Diaz quanto meno potrà avere col Papa «qualche vivace discussione su Rahner­von Balthasar». IL nuovo ambasciatorei è, infatti, uno studioso di Rahner, mentre – nota sempre 'America' – «Papa Benedetto è tante cose ma non un rahneriano». Negativo invece il giudizio del conservatore 'National Catholic Register' (Ncr) che ha subito notato come Diaz faccia parte della organizzazione filo-obamiana Catholics in Alliance for the common good – stigmatizzata dall’arcivescovo di Denver Charles Chaput per aver reso «un cattivo servizio alla Chiesa» – e abbia firmato a favore della nomina a ministro della Sanità di Kathleen Sebelius, a sua volta intimata dal proprio ordinario diocesano, l’arcivescovo Joseph Naumann di Kansas City in Kansas, a non presentarsi a ricevere la comunione perché promotrice di politiche pro­aborto. Il 'Ncr' comunque ha ammesso che «nonostante il suo appoggio al filo­abortista Obama, Diaz è ligio agli insegnamenti della Chiesa riguardo alla santità della vita umana, al contrario di tanti cattolici democratici di cui si era detto che fossero stati presi in considerazione per il suo posto». Più problematico Michael Sean Winters (autore di 'Left at the Altar: how the democrats lost the catholics and how the catholics can save the democrats') per il quale la nomina di un teologo è per il presidente «un po’ rischiosa», perché «la squadra di Obama tende a confidare nel coro cattolico sinistrese ( leftie catholic choir) che non è sempre il miglior giudice delle sensibilità delle gerarchie e del Vaticano». Quindi se Diaz verrà a Roma a fare l’ambasciatore bene, se invece vorrà fare il teologo, e per di più con una agenda per così dire liberal, allora potranno esserci dei problemi. Diaz nelle sue prime dichiarazioni ha voluto essere tranquillizzante. Non si è sbilanciato sulle posizioni più controverse, e si è limitato a dire di voler essere «un ponte tra la nostra nazione e la Santa Sede», promettendo «continuità» nei rapporti col Vaticano. Da parte sua, la Casa Bianca ha fatto sapere di considerare Diaz un pro-life e di avere in grande considerazione i rapporti con il Vaticano. La Santa Sede ha fatto capire di considerare quella di Diaz una buona scelta, perché Diaz non sembra avere un approccio radicale ai temi eticamente sensibili, aborto in primis. Altra questione è se Diaz avrà un peso reale presso l’Amministrazione, e quindi potrà essere un canale efficace tra il Vaticano e la Casa Bianca. Sarà insomma il tempo a dire se il neonominato riuscirà ad avvicinare le posizioni del presidente a quelle della Chiesa cattolica su tali delicate questioni (il che appare al momento improbabile) e se almeno riuscirà promuovere una effettiva collaborazione su altri fronti (sociali e geopolitici) dove le linee d’Oltreoceano e d’Oltretevere appaiono più compatibili.
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