venerdì 13 maggio 2016
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N on so se lo spunto gli è venuto ragionando sulla recente «veglia per asciugare le lacrime» e sui 60 riferimenti espliciti, «a volte molto toccanti » (come ha scritto sul Sismografo Luis Badilla tinyurl.com/jlmyvod ), alle lacrime e al pianto presenti nel magistero di Papa Francesco. Sta di fatto che John Allen, top-columnist delle cose papali presso il mondo anglofono e pioniere del vaticanismo digitale, ha preso occasione dal 38° anniversario dell’uccisione di Aldo Moro per un ragionamento, su Crux ( tinyurl.com/hmfzbgw ), intorno alla «moderna semplificazione del papato », della quale egli riconosce una pietra miliare nelle lacrime che Paolo VI versò pubblicamente il 10 maggio del 1978, appunto il giorno dopo il ritrovamento del corpo dell’amico statista. Non sono state molte, sui siti e blog religiosi italofoni che frequento, le memorie di quelle giornate, che sempre ripercorro con l’emozione di chi le ha vissute. E con la consapevolezza che ancora oggi i fatti sono così controversi da non consentire a nessuna ricostruzione di essere completa, anche limitatamente al ruolo della Santa Sede. Ciò detto, la nota di Allen (che all’epoca era tredicenne e viveva altrove) ha una sua distaccata onestà. Anche perché il punto che lo interessa riguarda la sottolineatura di una 'ermeneutica della continuità' nell’umanizzazione del papato. «C’è stato un tempo, non così lontano, nel quale l’umanità degli uomini che diventavano papi era prevalentemente nascosta», scrive Allen. La commozione che Paolo VI non riuscì a nascondere, nell’esprimere il suo dolore, raccontò al mondo che «sotto le vesti e i simboli dell’ufficio c’era una persona concreta, di carne e di sangue». Spinto da «una perdita personale quasi insopportabile», egli apparve così 'umanizzato', segnando un precedente sul quale tutti i suoi successori hanno continuato a costruire, sino a oggi. «Ognuno a suo modo», conclude Allen, che da un certo momento in poi ne è stato testimone oculare. © RIPRODUZIONE RISERVATA WikiChiesa
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