sabato 2 aprile 2016
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La premessa è paradossale ma necessaria, in questo giorno in cui nelle piazze del Paese si tengono le manifestazioni indette da Cgil, Cisl e Uil per cambiare le norme sulle pensioni. Senza la riforma Fornero, oggi non saremmo qui a discutere di una sua correzione. O meglio: non potremmo neppure immaginare un dibattito su questo tema. Nel senso che se quella netta e brusca e dolorosa correzione del sistema previdenziale non fosse stata varata, alla fine del 2011, l’Italia sarebbe crollata sotto il peso della speculazione e della sfiducia dei partner europei. Ci saremmo avviati a uno scenario simile a quello vissuto dalla Grecia lo scorso anno, con costi sociali enormemente superiori a quelli che, pure, si sono pagati per l’innalzamento repentino dell’età pensionabile e la mancata previsione di salvaguardie immediate.Sbaglia, dunque, chi pensa che quella manovra sia semplicemente la madre di tutti i nostri guai e più ancora chi criminalizza sul piano personale l’allora ministro Elsa Fornero. Non per nulla il decreto "Salva Italia" che conteneva la riforma fu votato in quei drammatici frangenti da tutti i partiti presenti in Parlamento (tranne Lega e Idv) e i sindacati confederali limitarono le proteste a qualche azione simbolica. Giusto ieri, la Corte dei conti ha calcolato in 30 miliardi di euro l’anno il risparmio garantito dalla modifica delle regole del 2007 prima e del biennio 2010-2011 poi: 150 miliardi solo nell’ultimo lustro. Ma è proprio in forza di tutto ciò, della solidità conquistata dal nostro sistema previdenziale, che oggi siamo in grado di poter progettare un diverso passaggio dalla vita lavorativa al pensionamento.I problemi da affrontare sono tre, per limitarsi ai principali. Il primo è il limite d’età troppo elevato per la quiescenza: 65 anni per le donne, oltre 66 per gli uomini, previsto in ulteriore crescita all’aumentare della prospettiva di vita. Il secondo è la sua rigidità e indifferenziazione. Nonostante la qualità del nostro invecchiamento stia decisamente migliorando, infatti, non tutte le professioni si possono svolgere con "lucidità" anche fino a 65, 66, 67 anni e oltre, non tutti gli sforzi fisici possono essere compiuti fino a quell’età. Senza contare che la sempre più rapida evoluzione di produzione e servizi richiede un aggiornamento profondo e continuo, oggi non certo garantito a tutti i lavoratori (i più "anziani" dei quali si ritrovano "obsoleti" assai prima di giungere alla fatidica età del pensionamento). C’è, infine, ma non ultimo, il problema dell’equità. Il passaggio al sistema contributivo per tutti – per il quale si riceve un assegno strettamente commisurato ai contributi versati – non è completo, così come non sono ancora del tutto omogenee le regole di rivalutazione dei montanti, di calcolo degli assegni, con persistenti sacche di privilegio da un lato e penalizzazioni dall’altro, in particolare per i lavoratori più giovani. Tenendo sempre a mente che la previdenza assorbe un terzo della nostra spesa pubblica e pesa per il 15-16% del Pil.Esistono quindi molti e buoni motivi per riprendere in mano la materia previdenziale, senza l’incoscienza di minare alle fondamenta un sistema ora (quasi) in equilibrio, ma al tempo stesso con la serena coscienza che si può migliorare il nostro modo di lavorare e di non-lavorare, con maggiore flessibilità e soprattutto responsabile libertà. Per poterlo fare, però, occorre anzitutto superare una sorta di veto politico sul tema e soprattutto convincere l’Unione Europea della fattibilità dell’intervento senza che i nostri conti pubblici ne siano "sconvolti". Le possibilità tecniche per una correzione razionale ci sono: i vertici dell’Inps hanno presentato diverse e documentate ipotesi, i sindacati ne hanno altre, i partiti altre ancora.Ci sono dunque – come chiedono oggi nelle piazze migliaia di lavoratori e pensionati – le condizioni per avviare un confronto. Il governo sembra però ancora indeciso su quali debbano essere le priorità per la manovra economica del prossimo anno, dopo aver dato fondo a molte risorse per bonus vari e aver sfruttato fino all’ultima goccia la flessibilità concessa dalla Commissione europea. Se però si assume la previdenza come una delle leve sulle quali agire, il momento per cominciare a costruire un’ipotesi di riforma non velleitaria e condivisa è adesso, mentre si predispone il Documento di economia e finanza. Adesso, non nelle corse di fine anno, si può progettare avendo ben chiari obiettivi sensati e utili.
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