La necessaria prudenza dopo il caso Lombardia. Etica e responsabilità
sabato 25 luglio 2020

La premessa è che questa Italia in stato d’emergenza a tutto può derogare, tranne che al principio costituzionale della presunzione d’innocenza. A maggior ragione se gli amministratori nazionali, regionali e comunali sono stati, sono e saranno chiamati all’assunzione di decisioni urgenti e immediatamente operative.

Non ci si può quindi accostare ai fatti giudiziari lombardi, e in particolare alla posizione da indagato del governatore leghista Attilio Fontana, senza l’armamentario minimo dello stato di diritto.

Tuttavia, in filigrana è possibile porsi delle domande che vanno oltre giudizi perentori e affrettati. In primo luogo, la domanda su quali reali capacità morali, etiche, culturali ed economiche abbia il sistema-Paese (politica, pubblica amministrazione, imprese, sindacati, società civile...) per affrontare una lunga stagione di deroghe e "procedure speciali". A una riduzione di norme e lacci burocratici dovrà corrispondere un aumento di responsabilità personale e collettiva: in questo senso, la vicenda lombarda suona come un cattivo presagio.

Il filo che separa una stagione di rinascita da una stagione in cui le spinte corruttive prevalgono sulla parte sana del Paese è sottile. Senza un’adeguata infrastruttura culturale e senza un vero e proprio patto di corresponsabilità, il sostanziale accantonamento del Codice degli appalti deliberato nel decreto-semplificazioni del governo – finalizzato anche a intercettare e veicolare senza tentennamenti i 209 miliardi di fondi Ue stanziati all’ultimo Consiglio europeo – rischia di diventare un "tana liberi tutti" giustificato dalla necessità di recuperare quanto prima il Pil e i livelli occupazionali pre-crisi.

Lo scivolamento verso una "cantierizzazione selvaggia" del Paese nonché l’utilizzo delle deroghe procedurali come scudo a sperperi e spese improduttive in comparti-chiave come la Sanità avrebbe poi tre conseguenze drammatiche: l’ulteriore deterioramento del rapporto tra politica, opinione pubblica e giustizia, con l’acuirsi del derby immobilizzante tra garantisti e giustizialisti; una nuova ondata di disillusione popolare verso la cosa pubblica, che metterebbe a repentaglio le necessarie riforme per innovare le istituzioni e indebolirebbe la tenuta democratica del Paese; dare argomenti sostanziosi a quella narrativa anti-italiana a livello europeo e internazionale che non è solo un affare politico, ma che ha ricadute concrete sui portafogli dei cittadini.

È necessario perciò sin da ora lanciare un messaggio chiaro e forte, a ogni livello, in una sola direzione: che la nuova stagione sarà un’opportunità soprattutto per chi sinora ha fatto le cose in modo "buono e giusto". Gli strumenti preventivi ci sono: tra tutti il ruolo centrale del Parlamento anche e soprattutto in un contesto di necessitata "deregulation", il lavoro "numeri alla mano" della giustizia contabile, le competenze accumulate dell’Autorità anticorruzione, la rete delle associazioni che dispone di quelle antenne in grado di intercettare "strani movimenti" sul nascere, prima che facciano danni.

Se non potremo affrontare il tempo che si affaccia condizionati dalla "cultura del sospetto", nemmeno potremo affidarci a un ingenuo ottimismo. Se l’emergenza e la deroga saranno la norma, non potrà esserlo un’illegalità sopportata per causa di stato maggiore.

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