mercoledì 29 aprile 2009
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Obiezione vuol dire, letteralmente, scagliare contro. Il suo contrario è l’obbedienza. Ma obiezione non è lo stesso che disobbedienza, è qualcosa di più; qualcosa che soppianta la ribellione con la mitezza inflessibile di un’altra e diversa obbedienza. Anche obbedienza comincia per ' ob' e forse viene da ' ob- audire', cioè ascoltare in profondità, in totalità. L’obiezione di coscienza è ciò che dal profondo dell’essere aderisce a un’obbedienza più alta, più cogente, di fronte ai comandi legali di chi si fa padrone di condotte umane che fanno a pugni con le convinzioni dell’uomo. La civiltà giuridica ce ne ha messo del tempo, a capire e a sancire; ma c’è arrivata, se Dio vuole, e ci sta. Ricordo le cose che disse la Corte Costituzionale 25 anni fa sugli obiettori alla leva militare, prima incarcerati, poi riconosciuti. Ricordo le scosse progressive di civiltà che portarono al riconoscimento dell’obiezione fin nelle condotte verso gli animali ( sperimentazione, 1993). Ricordo il legame che allaccia l’obiezione alle libertà di pensiero, coscienza e religione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, non meno che dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici. Leggo infine l’articolo 9 della legge 194 sull’aborto; leggo l’articolo 19 della legge 40 sulla fecondazione assistita. Leggo nel cosiddetto ' diritto vivente' che la coscienza è fra i diritti umani insopprimibili, e dunque l’obiezione è presidio estremo di libertà doveroso contro la violenza etica. Allora è apparso trasecolante il piglio di un funzionario amministrativo ( Asur Marche) che nei giorni scorsi pontificava sugli obblighi dei medici di prescrivere la ' pillola del giorno dopo' a pura richiesta, minacciando sfracelli in caso di obiezione. Non so che concetto avesse della professione medica, neanche a proposito di coscienza, ma di dignità, di schiena dritta. Perché se un medico deve per forza prescrivere un farmaco sol perché il richiedente gli prescrive di prescriverlo, tanto vale mettere in anticamera un robot in camice bianco che gli infila ' norlevo' nella fessura del taschino ed emette dal tascone la ricetta debitamente firmata. Medici, ciò che separa la legalità dall’impostura sarà a questo punto per voi solo la fierezza, per non dire l’indignazione, e infine la rivendicazione della ' clinica', o della schiena dritta, o allo stremo del rapporto umano­terapeutico. Senza questo non c’è mestiere più per voi, non c’è più dignità. E basti a ogni medico di schiena dritta smascherare le ipocrisie. Se poi parliamo di etica ( che non è un lusso ma un dovere) non pare credibile che una Asur italiana ignori ciò che il Comitato nazionale di bioetica ha pubblicato nel 2004, sul rispetto dell’obiezione di coscienza alla pillola del giorno dopo. Compreso lo scanso del sofisma che distingue l’annidamento della vita dalla gravidanza della vita. La vita è vita, e la pillola antivita la può distruggere se già concepita cerca di annidarsi; la espelle dai programmi di vita provocando potenzialmente una previa morte. La vita annidata o preannidata, dice anche per tutti e all’unanimità il Comitato, è la stessa e identica vita umana, con tutte le protezioni giuridiche inerenti. Dice pure che l’assimilazione normativa della gravidanza a questa avvenuta frontiera dell’essere umano vivente, cioè concepito, è una considerazione ' ovvia'. Ma ovvia allora ci irrompe nel pensiero questa ideata creatura viva, questa persona viva com’è, com’è il suo destino nel nostro, e non potremo se non obiettare alla sua morte fra le nostre mani. Uccidere è accecarci.
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