giovedì 28 marzo 2013
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Caro direttore,
siamo le detenute della sezione femminile della Casa circondariale di Forlì e vorremmo che Papa Francesco potesse leggere queste nostre righe. Abbiamo deciso di scrivergli innanzitutto per fargli sapere che, come da lui richiesto, molte di noi, assieme al parroco che viene a portarci la Parola di Dio, hanno pregato per lui: siamo liete che sia lui la nuova guida della Chiesa.
Ma avremmo anche noi una richiesta un po’ delicata da rivolgergli. Ormai è dal 1990 che nel nostro Paese non viene più concessa un’amnistia. Vorremmo chiedere al Papa di rivolgere un appello perché il Parlamento decida una misura in tale senso. Tra noi, oltre a delinquenti abituali, ci sono donne, mogli, nonne, ma soprattutto mamme che hanno sbagliato una sola volta e ora si sono fatte una vita onesta; sposate con figli piccoli si trovano a dover pagare errori commessi oltre dieci anni fa. Ci sono donne innocenti che però sono state condannate, e altre che sono ancora in attesa di giudizio.
Nel frattempo i nostri figli crescono, si sposano, ci fanno diventare nonne e i nostri mariti rimangono soli. Siamo consapevoli che chi sbaglia deve pagare, ed è giusto che sia così, ma come il Padre ha mandato Gesù che si è addossato i nostri peccati donandoci la possibilità della salvezza, così pensiamo che umanamente si debba dare alle persone la possibilità di un perdono grazie al quale, ravvedute, si possa cominciare una nuova vita. Gesù disse alla donna salvata dalla lapidazione: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» e vi possiamo garantire che seppur ci sarà chi non saprà sfruttare l’opportunità offertale, tante di noi si dedicherebbero a una vita onesta per non dover essere più costrette a lasciare i propri cari. Che Dio benedica il Papa e lo accompagni nel suo cammino.
Le detenute del Carcere di Forlì
Le vostre preghiere sono bene indirizzate, care amiche, e credo che lo siano anche le vostre speranze. Il Papa non può certo concedere amnistie, ma può indicare il modello della misericordia di Dio e la via del chiedere e del dare perdono in sincerità di cuore. E questo fa Papa Francesco, rinnovando con il suo stile già inconfondibile l’insegnamento e gli appelli dei suoi grandi predecessori. Un messaggio buono per tutto il mondo e che, infatti, come ogni volta che il Vescovo di Roma parla, in tutto il mondo risuona. Ma buono in modo speciale per l’Italia, questo nostro strano e bellissimo Paese, dove eccessi di indulgenza si accompagnano a risentimenti umorali, a inspiegabili durezze di cuore e, persino, a crudeltà casuali (ma non per questo meno aspre) come quelle che sono generate dall’incivile sovraffollamento di troppi istituti di pena e che tante volte abbiamo raccontato sulle pagine di Avvenire. La vostra lettera di donne, madri e mogli private della libertà per colpa propria o per errori della giustizia umana è coinvolgente e onesta, anche nell’esprimere la consapevolezza che non tutte le persone carcerate sarebbero all’altezza della clemenza ricevuta. E questo, a mio parere, la rende più bella. Grazie per avermela inviata. In questi giorni che ci conducono alla Pasqua di Risurrezione, unisco volentieri la mia voce alla vostra.
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